Garrincha, diversamente campione, "alegria do povo"
Il mondiale di calcio volge al termine. Il Brasile, benché goda il favore dei pronostici, non ha più i campioni che hanno fatto la storia del calcio carioca. Questa è la storia di uno di loro.
Un detto brasiliano recita: «Ancora oggi, se chiedi a un vecchio brasiliano chi è Pelè, il vecchio si toglie il cappello, in segno di ammirazione e di gratitudine. Ma se gli parli di Garrincha, il vecchio chiede scusa, abbassa gli occhi e piange».
Manoel Francisco Dos Santos, meglio noto come Garrincha o Manè Garrincha, probabilmente la più forte ala destra della storia del calcio mondiale, nasce a Pau Grande il 28 ottobre 1933. Da bimbo, con la sua schiena storta, cresce selvaggio nelle foreste che circondano la città. Proprio in quelle foreste tropicali vive un passerotto, il “garrincha”, nel quale la sorellina Rosa intravede una somiglianza straordinaria con Manoel, magrissimo e tutto storto.
Fin da piccolo il calcio è la sua vita, così come l’alcol del quale inizia ad abusare prestissimo. Ha un difetto fisico, una gamba più corta, ma proprio questo diventerà la sua forza, darà magia ai suo dribbling. In uno dei referti medici si legge: «Per via di tale malformazione – dovuta probabilmente alla poliomielite o alla malnutrizione – il giovane Manoel Francisco dos Santos è dunque dichiarato invalido, e gli è assolutamente sconsigliata ogni tipo di attività fisica agonistica, come il calcio». La vita racconterà un’altra storia, di un calciatore considerato da molti, soprattutto in Brasile, ancora più forte di Pelè.
A 16 anni, terminati da tempo gli studi con la terza media, comincia a lavorare presso una fabbrica del luogo, per la cui squadra amatoriale gioca e nella quale si distingue per la sua grandissima abilità di dribblatore. Licenziato per la sua indisciplina, è subito reintegrato per le sue capacità calcistiche. Il suo nome comincia a circolare, ma Manè non è per nulla interessato ad una carriera professionistica. Il calcio è la sua gioia, non lo considera un mestiere per guadagnarsi di che vivere. I suoi amici però lo spingono a fare provini con le squadre professionistiche. Uno di questi provini, quello col Botafogo del 1953, oggi fa parte della leggenda del calcio. Di fronte si trova Nilton Santos “Enciclopedia”, forse il più grande laterale sinistro di ogni tempo, che diverrà suo amico fuori dal campo.
Per Nilton quel giorno è un incubo e lo racconterà così: «Quando lo vidi mi sembrava uno scherzo, con quelle gambe storte, l’andatura da zoppo e il fisico di uno che può fare tante cose nella vita meno una: giocare al calcio. Come gli passano la palla gli vado incontro cercando di portarlo verso il fallo laterale per prendergliela con il sinistro, come facevo sempre. Lui invece mi fa una finta, mi sbilancia e se ne va. Nemmeno il tempo di girarmi per riprenderlo e ha già crossato. La seconda volta mi fa passare la palla in mezzo alle gambe e io lo fermo con un braccio e gli dico: “Senti ragazzino, certe cose non farle più”. La terza volta mi fa un pallonetto e sento ridere i pochi spettatori che assistono all’allenamento. Mi incazzo e quando mi si ripresenta di fronte, cerco di sgambettarlo, ma non riesco a prenderlo. Alla fine vado dai dirigenti del Botafogo e dico: “Tesseratelo subito, questo è un fenomeno”».
Manè firma il contratto con il Botafogo (con uno dei compensi più bassi della storia del calcio, lontano anni luce dai contratti attuali) e inizia la sua carriera. Troppo lungo raccontarla tutta, ci limiteremo al suo culmine, nei mondiali del Cile nel 1962, dove la storia di Garrincha s’intreccia con la politica internazionale.
Il Brasile di Pelè e Garrincha si presenta in Cile da campione, avendo vinto nel 1958. Pelé è la stellina diciassettenne osannata in Svezia, ma Josè Altafini dirà che il mondiale «l’ha vinto Garrincha, come quello di quattro anni più tardi in Cile. Tutti dicono Pelè, ma senza Garrincha quel Brasile non sarebbe stato immenso».
Nel 1962 Pelè si infortuna nella prima partita e Garrincha sente la responsabilità di caricarsi il peso della squadra sulle spalle. Ma nella semifinale contro la squadra di casa viene espulso. Nasce un caso politico, nel quale interviene il Primo ministro brasiliano, Tancredo Neves, che chiede la grazia alla Fifa per meriti sportivi, così come intervengono altri governi sudamericani nell’intento di sventare la minaccia di una vittoria “staliniana” da parte della Cecoslovacchia. Garrincha gioca e vince la finale davanti agli occhi dell’amore della sua vita, la cantante Elza Soares, che diventerà la sua seconda moglie. Sarà il capocannoniere ed il miglior giocatore dei mondiali.
Dopo il Cile inizia il declino. Garrincha fin da piccolo ha amato l’alcol al pari del calcio. Nei mondiali del 1958 salta le prime due partite perché ubriaco, salvo poi essere decisivo nella terza. Anche gli infortuni lo frenano. I mondiali del 1966 in Inghilterra saranno una delusione per Manè e per la Selecao, presto eliminata.
Il declino, anche economico, è inesorabile; nel 1969, dopo un gravissimo incidente automobilistico causato dall’alcol – per il quale fu condannato dalla magistratura -, lascia il Brasile, inseguito dall’epiteto di traditore, e si trasferisce a Roma al seguito di Elza, venuta in Italia per cantare.
Ha ormai dissipato tutti i suoi beni e si procura di che vivere curando l’attività promozionale per l’Istituto Brasiliano del Caffè. Ma non rinuncia al calcio, nonostante il suo fisico non lo sorregga più.
Una piccola storia lo vuole presente nel 1970 nel Sacrofano, neo promossa in prima categoria e allenata dall’ex attaccante brasiliano Da Costa, dove accetterà di giocare per pochi spiccioli. Dove non erano riusciti i grandi club italiani, era riuscita una piccola città della provincia romana. Con il Sacrofano vince un quadrangolare segnando due gol direttamente dalla bandierina. Spesso, nelle serate romane, lo si poteva incontrare a Campo dei Fiori, dove si ritrova a giocare con gli amici per la delizia dei fortunati passanti.
Nel 1972 torna in Brasile dove, l’anno dopo, dà l’addio definitivo al calcio. Inutilmente tenta più volte di smettere di bere, il suo alcolismo si aggrava e viene internato più volte. Anni dolorosi, perde un figlio avuto da un’altra donna e tenta anche il suicidio. Muore a Rio de Janeiro il 20 gennaio 1983 per un edema polmonare, ormai ridotto in estrema povertà.
Sulla sua tomba, l’epitaffio: «Qui riposa in pace colui che fu l’allegria del popolo, Manè Garrincha». Nel paese del calcio, Pelè, grazie ad una grande abilità diplomatica e di rapporti con il potere, è il più noto; ma Manè, l’Angelo dalle gambe storte, resta il più amato.