18 Ottobre 2021

Avner Wishnitzer: il veterano israeliano che combatte per la pace

Avner Wishnitzer: il veterano israeliano che combatte per la pace
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“Ammanettato e bendato, un veterano della più famosa unità commando israeliana ora combatte contro l’occupazione”.

“Un’immagine di Avner Wishnitzer è diventata virale il mese scorso quando un veterano della più prestigiosa unità di combattimento israeliana è stato malmenato e detenuto dall’esercito mentre cercava di fornire acqua agli abitanti dei villaggi palestinesi”.

Questa la vicenda sintetizzata nel titolo di Haaretz che è poi la storia di quello che una volta si sarebbe definito un uomo buono. Una definizione che il mondo di oggi, molto etico e per nulla buono, non prevede più.

Avner Wishnitzer, 45 anni, è l’uomo bendato e ammanettato da militari israeliani. Non è un palestinese, come saremmo facilmente indotta credere dalla foto, ma un ebreo israeliano. E non è nemmeno un cittadino qualsiasi visto che Avner è un veterano di Sayeret Matkal, l’unità di commando d’élite delle forze di difesa israeliane, famoso per le operazioni speciali in territorio “nemico” e per quelle di recupero ostaggi.

Sayeret Matkal è una unità di élite così famosa anche perché ha annoverato tra le sue file l’attuale primo ministro Naftali Bennett, e due ex premier, Benjamin Netanyahu ed Ehud Barak, oltre Yonathan Netanyahu, fratello dell’ex premier, celebre per aver guidato il raid di Entebbe in cui fu l’unica vittima tra i militari israeliani.

Per questa ragione la foto è diventata virale sui social in Israele. Avner non era in servizio quando, quasi un mese fa, è stato arrestato sulle colline del Sud Hebron. Ora non è più un militare e insegna storia del Medio Oriente e dell’Africa all’Università di Tel Aviv.

“Si trovava insieme ad un gruppo di attivisti anti-occupazione per consegnare un serbatoio d’acqua a una comunità palestinese non collegata alla rete idrica. La maggior parte degli attivisti apparteneva a Combatants for Peace, un’organizzazione no-profit israelo-palestinese che si oppone all’occupazione”.

“Ciò che distingue questa particolare organizzazione è che è stata fondata da persone che hanno combattuto da entrambi i lati. Wishnitzer è stato uno dei membri fondatori”.

Il racconto inizia il 17 settembre quando un gruppo di circa. 50 attivisti parte per consegnare un serbatoio di acqua potabile a una comunità palestinese isolata vicino ad Avigayil.

“Fa parte della nostra campagna aiutare le comunità palestinesi sotto il controllo israeliano – specialmente nelle colline a sud di Hebron e nella Valle del Giordano, che sono le aree più aride della Cisgiordania – ad avere accesso all’acqua… mentre l’esercito israeliano nega ai palestinesi l’accesso all’acqua perché sono impegnati a evitare costruzioni illegali nell’area, lo stesso ragionamento non viene applicato ai coloni, che godono di acqua corrente illimitata”.

A un posto di blocco i militari israeliani hanno ordinato a Avner ed ai suoi compagni di fermarsi: “Non ci hanno spiegato perché, ci hanno solo detto che non potevamo procedere. Abbiamo detto loro che eravamo venuti per portare l’acqua a chi non ne aveva e che intendevamo proseguire”.

“Per tutta risposta, i soldati hanno iniziato a strattonare gli attivisti e gli hanno lanciato contro lacrimogeni e granate stordenti. Le riprese video dello scontro mostrano il comandante che getta a terra uno degli attivisti più anziani e gli mette un ginocchio sul collo , in stile George Floyd”.

Wishnitzer, insieme a un piccolo gruppo è stato immediatamente arrestato: “Hanno preso me e un altro ragazzo e, senza alcun motivo, ci hanno bendato gli occhi… chiaramente, la loro intenzione era di umiliarci”.

“Quando ho detto loro che non c’era motivo di trattenerci, che tutto ciò che volevamo fare era portare dell’acqua a queste persone, sono stato insultato –  racconta Avner.  I due, bendati, sono stati costretti a salire su un veicolo militare e trattenuti per nove ore […]. Non gli è mai stato detto perché siano stati detenuti.”

Wishnitzer racconta che come militare dei reparti speciali ha servito raramente nei territori occupati e quando è scoppiata la seconda intifada, nel 2000, ha iniziato a sentirsi “molto a disagio” perché non sapeva cosa accadesse nei territori contesi ai palestinesi,

Haaretz ricorda poi come  Avner si sia unito a un gruppo di attivisti contrario all’occupazione, iniziando a trascorrere molto tempo in Cisgiordania. “Questo periodo ha avuto un profondo impatto su di lui, tanto che nel 2003 Wishnitzer è stato uno dei 13 riservisti di Sayeret Matkal ad annunciare, in una lettera aperta indirizzare all’allora primo ministro Ariel Sharon la decisione di rifiutarsi di prestare servizio nei territori occupati. Hanno scritto: “Non presteremo le mani al regime repressivo dei territori”.

La lettera ha destato l’interesse di un gruppo di attivisti palestinesi che aveva conosciuto le carceri israeliane. Dall’incontro di queste due realtà apparentemente così distanti è nata l’idea di creare Combatants for Peace.

“Ciò di cui ci siamo resi conto è che se le persone che sono state coinvolte nella violenza da entrambe le parti possono alla fine sedersi insieme e parlare come esseri umani, può farlo chiunque – afferma Wishnitzer, descrivendo Combatants for Peace -, nessun’altra organizzazione al mondo è composta da combattenti di entrambe le parti che si sono uniti non dopo i fatti, ma mentre ancora imperversa il sanguinoso conflitto”.

Quanto avvenuto il mese scorso non è una novità per Wishnitzer. Lui e altri attivisti sono stati malmenati altre volte dall’esercito. Ma crede che qualcosa sia cambiato: “C’è una sensazione strana nelle ultime settimane e negli ultimi mesi – e l’ho sentito dire anche da attivisti di altre organizzazioni -, cioè che i soldati siano diventati più violenti, che la violenza sia più forte, che non ci sia alcuna responsabilità”.

“Tutto ciò sembra un messaggio proveniente dall’alto, infatti chi era al comando il giorno in cui siamo stati malmenati se l’è cavata con un semplice buffetto”.

Ma Wishnitzer non vuole che l’opinione pubblica si concentri sulle percosse e l’umiliazione che lo riguardano, bensì su quanto accade nei territori occupati: “La vera storia da raccontare è ciò che sta accadendo ai palestinesi in Cisgiordania: l’appropriazione della terra, i posti di blocco, le detenzioni e la violenza sistematica, per non parlare della violenza dei coloni… i palestinesi sono le vere vittime”.

Abbiamo dato risalto a questa storia tanto singolare non solo perché in sé commovente, ma anche per far vedere come le generalizzazioni, tanto spesso usate in questo aspro conflitto, che si alimenta di divisioni, devono essere evitate.

Ci sono buoni e cattivi da ambe le parti. E non è con la criminalizzazione reciproca che può nascere qualcosa di nuovo, ma da vicende  come queste, da un uomo buono che ha dimostrato che storie come queste possono accadere. Siamo in Terrasanta, che, come diceva anche Ben Gurion, è terra di miracoli.

 

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