18 Giugno 2021

Il Covid-19 circolava negli USA già nel dicembre 2019

Il Covid-19 circolava negli USA già nel dicembre 2019
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Francis Collins, direttore del National Institutes of Health

La caccia alle origini del virus più famoso del mondo continua in ogni angolo della terra riservando sorprese. Infatti il Covid-19 ha lasciato tracce  in diversi paesi del mondo prima della sua scoperta ufficiale. Tra queste ricordiamo l’Italia dove il coronavirus sembra sia stato presente già dall’estate 2019. Ora arriva la conferma ufficiale che anche negli Stati Uniti era già presente a dicembre del 2019.

Il virus in America già a dicembre

Un articolo del Washington Examiner riporta lo studio del National Institutes of Health Usa che dimostra che il Covid-19 è stato riscontrato in almeno 5 Stati Usa già il 6 – 7 gennaio.

Come da conclusione dello studio, perché ciò avvenga occorre che il contagio risalga ad almeno due settimane prima, da qui la conclusione che già a fine dicembre, e forse anche prima, il virus circolasse in America.

Si tratta di casi sporadici, ma distribuiti in 5 Stati, e peraltro si tratta di una scoperta del tutto casuale, dato che non c’erano ancora controlli specifici sul Covid-19. Presumibile che le persone infettate passate sotto i radar siano molte più di quelle rilevate dallo studio.

L’epidemia di Wuhan di fatto scoppia quasi parallelamente, dato che i primi casi veri e propri si manifestano a metà dicembre (il primo caso, scoprirà uno studio, è del primo dicembre), con la complicazione che vanno a confondersi con le malattie stagionali. Tanto che l’allarme sul virus sconosciuto viene dato solo il 31 dicembre.

Possibile che i pazienti riscontrati nei 5 Stati Usa siano stati tutti da riferire a un contagio arrivato dalla lontana Wuhan? Dubitarne è legittimo.

Si tratta di elementi da tenere da conto nella frenetica caccia alle streghe avviata negli Usa, che ha ormai messo nel mirino il biolab di Whuan.

La caccia alla “pistola fumante” sta diventando ormai una ossessione per gli apparati e della propaganda Usa, e come accadde per le armi di distruzione di massa di Saddam (esempio non casuale), rischia di rivelarsi più fumo che arrosto.

Non si tratta di difendere il colosso asiatico, ma di registrare certe anomalie nei meccanismi che regolano l’approccio americano, di conseguenza europeo, alla pandemia.

Di accuse senza fondamento

Un lungo e dettagliato articolo del Washington Post del 15 giugno racconta tutti gli sforzi fatti dall’amministrazione Trump per dimostrare che tutto ebbe origine nel famigerato laboratorio di Whuan. Accusa senza fondamento, dato che, come afferma Francis Collins, direttore del National Institutes of Health, già a marzo del 2020 “gli scienziati hanno concluso all’unanimità che non c’erano prove di manipolazione in laboratorio”.

Nonostante le affermazioni pubbliche di Trump, e soprattutto del Segretario di Stato Mike Pompeo (ossessionato dal tema), secondo cui il virus proveniva dal laboratorio di Wuhan, le prove che essi avevano in mano sono sempre state più che aleatorie  – prosegue il giornale Usa – “Non siamo mai arrivati ad una prova definitiva”, ha detto Anthony Ruggiero, direttore del National Security Council per la contro-proliferazione e la biodifesa nell’amministrazione Trump”, aggiungendo che “alcuni responsabili dell’intelligence temevano che gli alti funzionari dell’amministrazione Trump, frustrati dal fatto che le agenzie di spionaggio non avessero trovato prove, stessero raccogliendo informazioni per supportare la teoria della fuga dal laboratorio”.

Tale era la foga di imputare alla Cina la disastrosa pandemia che: ”negli ultimi giorni dell’amministrazione [Trump]… alcuni funzionari hanno deciso di dichiarare che la Cina stava violando la Convenzione sulle armi biologiche, nonostante la mancanza di prove a sostegno di un’affermazione tanto esplosiva”.

In quella temperie, nonostante non esistessero prove in proposito, Mike Pompeo, sopra tutti, ripeteva al mondo che gli Usa avevano prove che il virus era stato creato dal laboratorio di Wuhan, tesi che ripropone ora con eguale, stolida, certezza, nonostante sia anche per i suoi propugnatori una vaga ipotesi, peraltro in contrasto con le affermazioni di tanta parte della comunità scientifica internazionale.

Di indagini e collaborazioni top secret

A indagare per più di un anno, peraltro, non è stato Tom Ponzi, ma le più sofisticate Agenzie di Sicurezza Usa (e non solo), che avrebbero dovuto avere da tempo informazioni in proposito.

Davvero qualcuno crede che si possa lavorare su nuovi virus senza che la Cia o la Nsa o altre agenzie per sicurezza biologica Usa lo sappiano? E ciò nonostante il fatto che al laboratorio di Wuhan fosse controllato regolarmente dagli americani?

Riportiamo un passaggio di una nota del sito, molto ben informato, Jewish Policy Center: “Nel 2017 e nel 2018 gli Stati Uniti hanno effettuato almeno due ispezioni al laboratorio di Wuhan. Ciò solleva la domanda sul perché una squadra di ispezione statunitense sia riuscita a entrare più volte in un delicato laboratorio cinese“.

“La risposta sembra essere che gli americani avevano uno status speciale a motivo della cooperazione di alto livello e top secret tra Stati Uniti, Cina e altri partner (come, ad esempio, il Canada)”.

Peraltro, al laboratorio di Wuhan collaboravano tanti scienziati stranieri, americani compresi: possibile che nessuno di essi sappia o si sia accorto di uno studio tanto avventato?

Tanti i punti oscuri di questa vicenda, alla quale non giova l’eccessiva politicizzazione. Gli Usa hanno avviato una legittima competizione con la Cina, ma appare illegittimo utilizzare a tal fine una tragedia che ha devastato il mondo e a cui gioverebbe invece uno studio serio, soprattutto non politicizzato, per sperare di evitarne altre simili in futuro.

 

 

 

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8 Marzo 2023
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