5 Dicembre 2016

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Ha perso il populismo, quello sparso a piene mani dal povero Renzi che ha tentato in tutti i modi, corretti e scorretti, di vendere la sua riforma costituzionale. Anzi la loro, quella del circolo etrusco di cui è stato macchiettistica espressione: una riforma che cambiava nel profondo la struttura stessa dello Stato italiano in senso oligarchico, distruggendo la residuale democrazia italiana.

 

La Grande Finanza, le banche, che avevano puntato tutto sul banditore fiorentino per vendere agli italiani la loro mela avvelenata, ha perso. Né per questo è caduto il mondo, come minacciato da media e circoli del Terrore internazionali, che avevano paventato la polverizzazione dell’Italia in caso di rigetto della loro riforma.

 

Il Terrore ha perso. Resta l’Italia con i suoi problemi, che sono poi quelli legati a un impoverimento generale causato da questo meccanismo perverso generato dal fondamentalismo finanziario, che ruba i soldi ai poveri per consegnarli ai ricchi (leggi ancora Finanza).

 

Problemi che finora non sono stati mai affrontati seriamente, al di là di alcune misure alquanto inutili, tipo Jobs act, buona scuola e poco altro, venduti dal banditore fiorentino con i consueti slogan a effetto e simpatizzanti.

 

Né poteva essere altrimenti, dal momento che l’attenzione in questi anni è stata sviata appunto sulla questione riforma, presentata come panacea finale e che invece quel meccanismo vampirizzante avrebbe istituzionalizzato e reso irreversibile.

 

Il rottamatore è  stato rottamato. Ha vinto la politica, quella espressa da una valanga di voti della società civile, che sono andati ben oltre la messe di voti spostati da singoli e forze politiche che pure hanno combattuto la buona battaglia.

 

E, come accade per i vari burattini usati dal potere globale, una volta che perdono vengono abbandonati dai loro stessi padroni in maniera più che brutale, Senza più fili, cadono nel baratro della storia. Sopravviverà a se stesso, il povero Renzi, certo, ma sarà tutt’altro.

 

Resta che, al di là delle vicende nostrane, pure importanti, la vittoria del No in Italia ribadisce che il vento è cambiato: dopo la Brexit e la vittoria di Trump, la finanza globale e globalizzante accusa un’altra battuta d’arresto.

 

Che non viene compensata affatto dalla vittoria del verde Van der Bellen in Austria, che vince pare stavolta senza brogli, dopo che la scoperta di brogli a suo favore aveva avuto il risultato di annullare la vittoria del suo antagonista, anti-sistema, nella tornata precedente.

 

Ma l’esito delle presidenziali austriache, appunto, appartiene al destino mitteleuropeo di Vienna, che da secoli fatica a svincolarsi dall’abbraccio soffocante della Germania, oggi colonna portante del potere globalizzante.

L’Italia è altra cosa.

 

Paese fondatore dell’Unione europea con destino Mediterraneo, essa ha ritrovato in questa aspra battaglia quel suo dna unico, che ne faceva un’anomalia.

 

Quell’anomalia invisa a oscuri circoli culturali-finanziari italiani e internazionali che da decenni (dai tempi dell’omicidio Moro), la combattono in maniera feroce, falcidiandone la classe dirigente, almeno quella parte non prona ai propri diktat.

 

Simbolico in tal senso che grande amico di Matteo Renzi sia quel Michael Leeden che Francesco Cossiga, a nome della democrazia cristiana, aveva dichiarato persona non grata a causa di un qualche oscuro ruolo ricoperto durante l’omicidio Moro. Oscuro a noi, ovvio, forse non a coloro che avevano avanzato quell’inusuale quanto irrituale richiesta all’allora presidente della Repubblica.

 

La riforma Renzi doveva essere il compimento di questo processo disgregativo, la stabilizzazione finale dopo anni di destabilizzante lotta continua (destabilizzare per stabilizzare). Non è andata così. Per fortuna degli italiani e del mondo.

 

 

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