25 Maggio 2017

Trump dal Papa, come uno scolaretto davanti al professore

Trump dal Papa, come uno scolaretto davanti al professore
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Un incontro alquanto bizzarro quello avvenuto ieri in Vaticano tra Francesco e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Tra il Papa che sogna una Chiesa povera per i poveri e il tycoon che ha fatto dello sfoggio della ricchezza una sorta di cifra esistenziale.

 

Un incontro preceduto da tante perplessità, che per lo più vertevano sulla polemica scoppiata durante la campagna elettorale americana, quando papa Francesco, rispondendo alla domanda di un cronista, aveva dichiarato che la costruzione di un muro tra Stati Uniti e Messico per bloccare i flussi di migranti non apparteneva al repertorio cristiano.

 

Ne era nata una polemica a distanza tra il Papa e Trump, allora strenuo propugnatore dell’opera edilizia. Polemica che poi quest’ultimo aveva tentato di sminuire, ma che da allora è stata brandita dai suoi avversari per sottolinearne l’asserita distanza dalla Chiesa (un modo per alienargli le simpatie del mondo cattolico).

 

Ieri questa distanza sembra si sia accorciata, poco o tanto che sia non è dato saperlo. nonostante alcuni media abbiano fatto notare che su alcune tematiche le posizioni dei due siano rimaste inalterate, che il Papa non ha sfoggiato il sorriso di altre occasioni e altro e diverso.

 

Dal momento che è del tutto irrealistico immaginare che le politiche dell’Impero siano decise in un incontro di mezz’ora con un Papa, eviteremo di cadere nello sterile esercizio della disamina dei contenuti del colloquio stesso.

 

Ci sembra invece di certo rilievo evidenziare l’atteggiamento del presidente americano, che non ha precedenti (almeno recenti). Mai, infatti, si era visto un presidente degli Stati Uniti nelle vesti di uno scolaretto di fronte a un professore.

 

«È un onore essere qui», si è premurato di dire subito il tycoon prestato alla politica. Ha sfoggiato sorrisi a trentadue denti all’indirizzo del Papa e dei fotografi. «Non dimenticherò le sue parole», ha detto con solennità alla fine dell’incontro. E ha assicurato che avrebbe fatto i compiti a casa, ovvero avrebbe letto le encicliche che Francesco gli aveva girato (le sue encicliche, ovvio).

 

Insomma, sembrava che le parti si fossero rovesciate. Che non si assistesse all’udienza che un povero Papa deve pur concedere all’uomo, almeno in teoria, più potente della Terra (omnis potestas a Deo). Ma che Francesco si concedesse a un poveretto.

 

Una strana inversione dei ruoli che solo qualche osservatore (romano o meno che sia) non dotato del senso dell’umorismo potrebbe far discendere dall’autorevolezza di Francesco.

 

Egli, come tutti i successori di Pietro, non conta nulla di fronte al potere di questo mondo; come è drammaticamente evidente, ad esempio, quando lancia i suoi appelli per la pace, puntualmente inascoltati dalle parti in causa.

 

Un poveretto che ieri si è trovato di fronte un altro poveretto, se così si può dire di un presidente americano. Infatti, sbaglierebbe chi interpretasse l’accentuata deferenza verso il Papa come una vacua captatio benevolontiae propria dell’uomo d’affari prestato alla politica.

 

Trump è sulla graticola. La sua ipotesi di un attutimento delle tensioni internazionali da ricercarsi attraverso un nuovo rapporto tra Washington e Mosca ha sollevato un feroce contrasto, interno e internazionale.

 

I suoi avversari prendono di mira i suoi uomini, ne ostacolano ogni mossa, ne devastano l’immagine (già non eccessivamente simpatica).

 

Ciò nel tentativo di piegarlo ai loro disegni, che invece prevedono un contrasto a tutto campo con la Russia e l’Iran. In alternativa contano di travolgerlo, portandolo alla sbarra e/o compiendo una sorta di colpo di Stato tramite impeachement.

 

Il presidente è in evidente difficoltà. Deve concedere qualcosa ai suoi antagonisti, e non solo sul piano verbale, ma ancora non sembra essersi consegnato ai loro disegni. E però per riuscire a divincolarsi dalla morsa mortale in cui è stretto deve trovare sponde esterne.

 

Non basta l’appoggio dei generali americani, che sta letteralmente sommergendo di soldi per legarli sempre più a sé (il maxi-investimento di 54 miliardi di dollari annunciato a inizio mandato si somma alla commessa di armamenti per 350 miliardi di dollari strappata ai sauditi). Serve altro.

 

Da qui anche la ricerca di buoni rapporti con il Papa e la Chiesa cattolica. La Chiesa in sé non conta granché. E però può offrire al suo interlocutore, in maniera implicita ovviamente, un’apertura di credito che altri gli negano (almeno su alcuni punti del suo programma, ad esempio, appunto, sulla ricerca di un rapporto meno conflittuale con Mosca in una prospettiva stabilizzante).

 

Nell’attesa di capire se l’incontro abbia qualche conseguenza, seppur remota, ci permettiamo due notazioni a margine che riguardano la First lady. Ha fatto certa simpatia il fatto che Melania abbia portato all’incontro un oggetto giudicato ormai obsoleto da tanta Chiesa, ovvero un rosario. Che ha fatto benedire da Francesco.

 

Come ha fatto simpatia che abbia voluto chiudere proprio in Vaticano le controversie riguardanti le strette di mano ostentatamente rifiutate al marito in occasioni pubbliche (particolare notato in alcuni video).

 

Solo un gossip, ovvio, ma anche questi gossip possono dimostrarsi urticanti, come dimostra ampiamente il caso del Cavaliere nazionale e della di lui consorte.

 

La coppia presidenziale si è fatta fotografare mano nella mano davanti al Giudizio Universale della Cappella Sistina. Una foto altamente simbolica dato il ruolo che si è trovato a ricoprire Donald Trump in questo povero mondo.

 

Trump dal Papa, come uno scolaretto davanti al professore

 

 

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