8 Aprile 2016

Boccioni, La madre; Dimensioni astratte

di Giuseppe Frangi
Boccioni, La madre; Dimensioni astratte
Tempo di lettura: 3 minuti

Il rapporto tra Boccioni e la mamma è qualcosa di insolito e raro nelle biografie degli artisti del ‘900: forse solo la relazione tra Andy Warhol e Julia Warhola può essere in qualche modo paragonabile (ma nel caso dell’iniziatore della pop art forse la sua omosessualità potrebbe spiegare la profondità del legame). Non si trattò semplicemente di una relazione affettuosamente intensa. Fu qualcosa di più: perché la figura della madre è centrale proprio nella storia del Boccioni artista: il corpo della madre diventa per lui come una frontiera d’avanguardia.

 

Mamma Cecilia era una donna semplice, all’antica, con un fisico largo da donna di paese, che dimostrava più dei suoi anni. Aveva dei capelli bianchi sempre ordinatamente raccolti sulla testa, e la vediamo spesso indossare vesti lunghe e coprirsi le spalle con scialli: quasi più nonna che mamma. Certamente il suo portamento non si conciliava neppur lontanamente con l’immaginario futurista che si stava facendo largo nella testa di Boccioni.

 

Eppure a partire dal 1907, anno del primo importante ritratto (alla fine, in tutto, saranno ben 60), mamma Cecilia poserà sempre più di frequente per quel figlio geniale, tenero e scapestrato. In uno stupendo pastello del 1907, ancora di sapore divisionista, realizzato appena arrivato a Milano (dove la mamma lo aveva seguito), si vede Cecilia intenta in un’attività tradizionale come l’uncinetto.

 

Con il 1911 invece le cose cambiano radicalmente. È l’anno del celebre manifesto del Futurismo, la cui stesura probabilmente era opera di Boccioni (che infatti aveva anche tentato una carriera nel giornalismo). In uno dei primi quadri che risentono di questo terremoto, “La strada entra nella casa”, vediamo Cecilia, con la sua consueta lunga veste, affacciarsi al balcone della casa che Boccioni aveva in via Adige a Milano.

 

Con curiosità sta osservando la città che cresce frenetica e quasi eccitata sotto di lei: la modernità irrompe nella pittura di Boccioni, ma la madre resta sempre là, al centro del suo mondo. E arriviamo così a questa tela dipinta nel 1912, presente alla mostra che Milano gli ha dedicato in occasione del centenario (Palazzo Reale, sino al 5 giugno; catalogo Electa). Il titolo è “La madre; Dimensioni astratte”. Il dinamismo futurista ha ormai travolto le forme.

 

Boccioni esce definitivamente dal guscio in cui, pur con molta maestria, si era mosso sino ad allora. C’è un’energia moderna in questa immagine; Boccioni opera un’accelerazione così precipitosa da non preoccuparsi neppure di arrivare a chiudere il quadro, che resta sospeso in un suo “farsi” che sembra continuare ancora davanti ai nostri occhi.

 

Ma al centro del quadro resta, rispettatissima, l’immagine antica della madre, con i capelli raccolti sulla testa e il volto chinato, in un atteggiamento pensoso, tipico della vecchiaia. Quella di Boccioni è un’avanguardia all’italiana: cioè innova spregiudicatamente e cavalca la modernità in una sorta di continuità antropologica con tutta la storia che l’aveva preceduto. La frattura estetica e formale non coincide in lui con una rottura delle relazioni più naturali.

 

Anzi la rivoluzione di Boccioni si innesta sul corpo e sulla relazione affettiva più naturale nella vita di ogni uomo: quella con la madre. Senza la sicurezza garantita da quella figura “antica”, non avrebbe potuto esprimere con tanta libertà e sicurezza le forme del moderno. La madre è colei che genera ciò che a lui interessava di più rappresentare, cioè «il respiro e il palpito delle cose». La madre è energia generatrice, di tutto. Anche di quella modernità che “antigraziosamente” si affacciava sulla scena della vita e dell’arte.

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