Bramante, Cristo alla colonna
Tempo di lettura: 2 minutiAlla mostra di Bramante di Milano c’è un quadro che non può lasciare indifferente nessuno. È il dipinto di Cristo alla colonna che proviene dall’abbazia di Chiaravalle milanese e che è in deposito a Brera. È un quadro unico, perché non si conoscono altre opere del grande architetto su tavola, al punto che qualcuno ha pensato che sia opera del suo allievo Bramantino.
In genere a Brera il quadro è esposto nella sala di Raffaello. Per la mostra è stato spostato ed è stato difeso da un distanziatore. È proprio quel distanziatore che mi ha fatto capire una cosa di quel quadro che mi era sempre sfuggito. Il quadro parla di Bramante per la costruzione di solidità architettonica, e per quella sicurezza di impaginazione che solo un grande ideatore di spazi, quale fu, poteva garantire.
Quest’immagine di Cristo alla colonna, databile tra 1480 e 1490, impressiona per la scelta ardita di non mettere nulla tra noi che guardiamo e il corpo del Signore. In genere questo tipo di opere prevedono sempre uno spazio che garantisca una sorta di zona di rispetto, che crei un luogo a sé per il soggetto religioso. Qui invece Bramante infrange questa regola non detta e così la sua pittura sembra prorompere dalla superficie della tavola. Il corpo dipinto con una pittura che vibra di fisicità è qualcosa che ci sfiora, che ci tocca.
Difficile eludere una presenza così. Difficile pensarla solo come immagine. Bramante usa la sua sapienza architettonica per spingere quello che dovrebbe essere semplice rappresentazione in una sfera che davvero sconfina nel reale. La possanza del corpo completa questa sensazione di non poter sfuggire dalla presenza di quest’uomo.
C’è un altro particolare che rende ancora più presente a noi questa presenza. È quel cambio improvviso di coloritura sul viso, che rivela il livido delle violenze subite. Il viso è stretto da quel cordone-cappio che lo assedia e insieme lo incorona. Lo sguardo poi è puntato non verso di noi, ma verso qualcuno che è con noi. Qualcuno che è forse il mandante di quella violenza, e al quale Cristo guarda con una pietà immensa, profonda, una pietà inimmaginabile nel cuore dell’uomo.
È a questo punto che si capisce come la forza di questa figura di Cristo, che sul retro vien chiusa in modo un po’ imprevedibile con un paesaggio distensivo alla fiamminga, è la sua inevitabilità. Lui c’è ed è dove noi siamo. Il distanziatore ci rende tutto questo più chiaro: noli me tangere.