Corrado Levi, Vestiti di arrivati
Tempo di lettura: 2 minutiLa fotografia che pubblichiamo racconta di come l’arte oggi sappia fare esperienza delle urgenze della vita. La persona che si è messa in posa è un artista che ha una lunga storia alle spalle, un artista a cui è difficile attribuire etichette; ha alle spalle una vita intessuta di tantissime relazioni e di tante passioni, compresa quella di insegnante e di apripista per tanti giovani. Si chiama Corrado Levi, e ha sempre concepito il fare arte come esperienza aperta, libera da regole e pronta a metter in gioco tutte le proprie certezze.
In questa circostanza le cose sono andate così. Quest’estate Levi era sulla spiaggia di Otranto, dove ama andare per suonare il violoncello sulla sponda del mare: esperienza artistica anche questa. Ma non sapeva di dover fare i conti con qualcosa di emotivamente ancor più coinvolgente. Infatti nelle vicinanze notò una quantità di vestiti abbandonati. Capì subito che si trattava di vestiti di migranti, lasciati lì perché troppo bagnati o troppo consumati dal viaggio. Lasciati lì magari proprio per cercare di liberarsi anche di quell’etichetta di migranti.
Corrado Levi decise di raccoglierli, di portarli a casa. Poi ha chiamato l’allievo amico con cui tante volte ha lavorato, Beppe Finessi, ha indossato uno sopra l’altro quei vestiti, e si è fatto fotografare da lui. La foto è diventata un manifesto stradale esposto a Bologna a fine gennaio. Un manifesto in cui si vede un vecchio artista che con caparbietà ha pensato che il suo essere artista comportasse il compiere quel gesto.
Un gesto non di vaga testimonianza, ma di identificazione. Un essere nei loro panni, realmente, fisicamente. Così è nata questa immagine, in cui Levi non fa discorsi sulla figura del migrante, ma ci ricorda con la determinazione che l’essere artista gli fornisce, che è inutile pensare di sottrarsi. Che è inutile pensare che il loro destino non ci riguardi. Il loro destino ce lo abbiamo addosso. In un certo senso è il nostro destino.
Così quest’immagine, per un verso struggente, ha anche la forza di una bomba. I vestiti indossati sono un carico esplosivo di vite e di storie che ci vengono addosso e che ci feriscono. Del resto questa è sempre la riprova più vera di ciò che è arte: ti sorprende e ti lascia una ferita dentro. Di nostalgia. O per un desiderio acceso: quello di poter abbracciare un giorno tutti gli uomini e le donne che quei vestiti hanno indossato (come anche quelli che «arrivati» non sono, come suggerisce, per esclusione, lo stupendo titolo dell’opera).
Per questo la foto di Levi, che è fortissima, ha anche una sua irriducibile dolcezza.