17 Giugno 2015

Donatello, Crocifisso

Donatello, Crocifisso
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Un grande Crocifisso, una scultura monumentale in legno dipinto, che dal 1512 – anno del prodigioso sanguinamento raccontato dalle cronache – è stato gelosamente custodito in una cappella a lui dedicata, nella chiesa di Santa Maria dei Servi a Padova. Era poco riconoscibile anche perché un intervento antico lo aveva ricoperto di una patina in finto bronzo, ma la tenacia di due studiosi, Marco Ruffini e Francesco Caglioti, ha portato a scoprire la sua vera identità.

 

La scoperta è arrivata grazie ad un’edizione antica delle Vite del Vasari, appartenuta a due anonimi bene informati sulle vicende artistiche venete, che l’avevano letta e annotata dopo la sua pubblicazione nel 1550. Giunto al brano in cui Vasari enumera le varie opere eseguite da Donatello durante il suo soggiorno padovano, Ruffini s’imbatté nella seguente postilla che lo fece sussultare: «ha ancor fato il Crucifixo quale gora è in chiesa di Servi di Padoa».

 

Ovviamente cominciarono subito le ricerche, che approdarono a quel Crocifisso miracoloso: una volta restaurato e liberato dalla vernice di bronzo, si è capito che quello era il Donatello citato in margine alle Vite del Vasari.

Donatello a Padova aveva trascorso circa dieci anni della sua avventura, tra 1443 e 1453, lasciando alcuni capolavori come i bronzi per l’altare del Santo, dominati da un grande Crocifisso, e la statua equestre del Gattamelata sulla piazza stessa della Basilica. Se a Firenze, per quanto riconosciuto nella sua grandezza, si era trovato un po’ straniero, per quella sua violenta carica espressionista, che non temeva di essere a volte persino scomposta, a Padova egli trova un clima a lui perfettamente congeniale, come dimostra il drammaticissimo Crocifisso del Santo, ora esposto al Museo diocesano padovano, a fianco di quello ritrovato.

 

Quest’ultimo però ci racconta un Donatello più “quieto”, alle prese con una scultura di grandi dimensioni (alta oltre due metri), scolpita nel legno e non plasmata nel gesso o nella creta per essere poi fusa in bronzo. La scultura restaurata ha rivelato anche l’antica policromia, che Donatello aveva voluto assolutamente mimetica alla carne, così da rendere tutto vivo e reale quel suo Crocifisso. È proprio questa fisicità, tenera e insieme drammatica, a commuovere: ogni dettaglio è scolpito ma insieme quasi accarezzato.

 

E ogni dettaglio “respira” di una verosimiglianza in cui l’intellettualismo e tutti i discorsi stilistici sembrano andare a morire. Basta osservare alcuni dettagli, come i muscoli contratti delle cosce, o il costato che da sotto la pelle, disegna il busto di Cristo. E poi il volto del Crocifisso, così sofferente ma così misteriosamente pacificato. Tutto diverso dall’esemplare del Santo, così accanitamente e quasi spasmodicamente drammatico. Ma questa è una qualità dei grandi: saper raccontare tutti i registri verosimilmente possibili di quel fatto accaduto duemila anni fa.

 

Ps. Così le cronache ricordano il sanguinamento del febbraio 1512: «Mentre pregavano, videro il volto e il petto, dalla parte sinistra, coprirsi di un sudore sanguigno. La notizia si divulgò in un baleno. Il S. Crocifisso durante quindici giorni altre volte trasudò, e parecchi furono testimoni del fatto […] si era nei giorni sacri di quaresima […] Al Venerdì Santo, il S. Crocifisso fu veduto nuovamente bagnarsi di sudore sanguigno. La cosa fu riferita al Vescovo. Egli accorse e, indossati gli abiti pontificali poté riempire una ampolla delle gocce cadenti […] Il S. Crocifisso continuava nel prodigio fino ai Vesperi della domenica di Pasqua».

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