9 Dicembre 2016

Giotto, Natività

Giotto, Natività
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Ci si avvicina al Natale e tutti vogliamo averlo “davanti agli occhi”. Papa Francesco quest’anno per il suo biglietto di auguri ha scelto di mettercelo davanti agli occhi ricorrendo alla Natività che Giotto con la sua bottega aveva dipinto nel transetto destro della Basilica Inferiore di Assisi.

 

È un’immagine meno nota di quella che Giotto stesso realizzò per la Cappella degli Scrovegni a Padova. È un’immagine più scarna, più povera; verrebbe da dire, seppur meno bella, più umilmente sintonica con quello che è lo spirito del Natale. Giotto quando tornò ad Assisi, quasi 15 anni dopo aver realizzato la sua grande opera d’esordio con le Storie di San Francesco nella Basilica Superiore, era oramai un artista ricercatissimo, che riusciva a tener dietro a tutte le commesse che gli arrivavano grazie ad una collaudatissima bottega.

 

Il funzionamento della bottega prevedeva che toccasse al maestro impostare l’architettura compositiva dei dipinti, la cui realizzazione era poi affidata invece alla mano di aiuti molto fidati (spesso restati senza nome: in questo caso la critica ha battezzato il maestro della Natività come “Parente di Giotto”, a testimonianza della sua vicinanza con il maestro).

 

Naturalmente Giotto non costringeva la sua squadra a tenere un passo che lui solo avrebbe potuto garantire, con quelle figure di una corporeità che non si era mai vista, messe in campo a Padova. Tuttavia, pur in questa riduzione di ambizioni, quello che colpisce è la commestibilità della nuova visione introdotta da Giotto.

 

È un linguaggio che non solo rappresenta un punto di non ritorno, ma che si dimostra immediatamente praticabile anche da mani e talenti più umili. È quello che accade in questa Natività di Assisi, la cui costruzione ha la semplicità quasi “pre-cezanniana” di Giotto, ma la cui articolazione sconta passaggi un po’ balbettanti e forse anche per questo così commoventi.

 

Le figure ad esempio appaiono piccole, quasi non riuscissero a stare al passo con l’idea della composizione, così ben svelata dalla squadratura quasi cubista della mangiatoria o da quella della tettoia. Invece nelle figure accade che la prospettiva si rovesci e le due levatrici che in primo piano accudiscono il Bambino hanno dimensioni più ridotte rispetto a Maria o ai pastori che stanno più indietro.

 

Quello che di Giotto passa non è solo un nuovo linguaggio artistico, bensì anche una percezione dell’umano che di quel linguaggio era stata la scaturigine. Così i maestri che lo seguono cercano di restituire sempre l’intensità affettiva che sta al cuore delle storie che rappresentano.

 

In questo caso l’artista ci riesce, in particolare con il dettaglio commovente dello sguardo di Maria verso il suo Bambino. Naturalmente la matrice è la scena dipinta da Giotto a Padova, in cui lo sguardo di Maria è di un’intensità davvero difficile da replicare (uno sguardo al destino).

 

Qui prevale una dimensione più semplice, che è quella contentezza che Maria non riesce a trattenere nel guardare suo figlio e nel mostrarlo a noi che guardiamo da sotto. L’augurio e la preghiera è che quella contentezza sia anche nostra.

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