11 Settembre 2019

Un 11 settembre senza Bolton (e senza neocon)

11 settembre senza Bolton
Tempo di lettura: 4 minuti

La notizia che Donald Trump ha licenziato John Bolton arriva in una data simbolica, dato che consegna al mondo un 11 settembre senza neocon.

La consorteria che ha preso il potere in America dopo l’attentato alla Torri gemelle e che con Bolton era tornata decisiva nella politica estera americana viene allontanata dalla stanza dei bottoni.

In realtà, per questa data Trump avrebbe voluto offrire al mondo il ritiro dell’America dall’Afghanistan. Tutto era pronto per la firma di uno storico accordo con i talebani dal valore altamente simbolico dato che con l’intervento nel Paese asiatico ebbe inizio la Guerra infinita dei neocon.

L’intesa sottintendeva che la Guerra infinita si andava a chiudere. Ma tutto è saltato. Una vittoria di Bolton che aveva remato contro, come scrive il Washington Post. Da qui l’iniziativa politica e simbolica di licenziarlo.

Bolton, il sabotatore

Non solo l’Afghanistan, Bolton è riuscito a sabotare la pace con la Corea del Nord e a trascinare gli Usa contro l’Iran. Sul primo dossier, c’è da segnalare il rilancio di Pyongyang, disposta a riprendere i negoziati a fine settembre. L’assenza del sabotatore aiuterà.

Sull’Iran va segnalata la conferenza stampa di Mike Pompeo e Steven Mnuchin, rispettivamente Segretario di Stato e del Tesoro, che “90 minuti dopo” la defenestrazione di Bolton, pur ribadendo la linea dura contro Teheran, alla domanda “se Trump potrebbe incontrare [il presidente iraniano] Rouhani a fine mese all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, hanno risposto ‘certo'” (Timesofisrael).

Un 11 settembre senza Bolton (e senza neocon)

Mike Pompeo e Steve Mnuchin

Peraltro, il WP rivela che in questi giorni “Pompeo e Mnuchin avevano detto a Trump che il suo Consigliere per la sicurezza nazionale non lo stava aiutando”. Una sfiducia che aveva portato Pompeo “a dare istruzioni ai suoi aiutanti affinché sull’Iran non consultassero la squadra di Bolton”.

I due ministri non sono stati gli unici a tirare un sospiro di sollievo per la dipartita di Bolton. Al Pentagono la decisione è stata salutata da “applausi” (WP).

L’allontanamento di Bolton e Israele

La mossa di Trump ha conseguenze sulla campagna elettorale israeliana, secondo Haaretz, perché infligge “un duro colpo alle prospettive di Netanyahu sul programma nucleare iraniano”, dal quale è ossessionato (Haaretz).

Ed è giunta in una giornata cruciale, nel giorno in cui Netanyahu intendeva rilanciare la sua campagna con il “drammatico” annuncio che, se rieletto, avrebbe annesso a Israele parte della Cisgiordania.

Un annuncio che secondo Haaretz “può essere interpretato come un segnale di un’incrinatura della sua relazione amorosa con Washington”.

Sia perché, se questa è “l’unica offerta di Netanyahu ai suoi elettori, vuol dire che presumibilmente non avrà regali migliori dal suo amico americano, come il patto difensivo [Usa-Israele] o il rilascio di Jonathan Pollard”, la spia israeliana detenuta negli Usa.

Inoltre, l’annuncio dell’annessione di quei territori, e non di tutta la Cisgiordania (come ipotizzato da tempo), indicherebbe, secondo Haaretz, che non gli è stato permesso da Washington di promettere di più.

Annuncio limitato, dunque, e depotenziato dal licenziamento di Bolton. Per Netanyahu quella di ieri non è stata una bella giornata, anche se le sue speranze di vittoria restano.

Le minacce di Bolton

L’allontanamento di Bolton ha un’ulteriore motivazione: Trump vuole arrivare alle presidenziali del 2020 con un successo internazionale; dalla Corea del Nord alla Cina, dall’Iran all’Afghanistan, sta provando in tutti i modi a contrarre intese che Bolton ha puntualmente sabotato. Motivi elettorali, dunque.

Su Bolton, una biografia illuminante apparsa a suo tempo sul Newyorker, nel quale si annota che “quando Bolton si trasferì nel suo ufficio, in fondo al corridoio del Presidente, appese una copia incorniciata dell’ordine esecutivo di Trump che annullava l’accordo nucleare degli Stati Uniti con l’Iran“.

Quello fu, infatti, suo più grande successo, il coronamento di una carriera tra le fila neocon, per i quali si è speso come un leone per ottenere la guerra in Iraq, in qualità di ambasciatore Usa all’Onu.

Il Newyorker narra il suo scontro, al tempo, con  José Bustani, capo dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Un aneddoto di interesse storico e biografico.

Bustani “stava negoziando con il governo iracheno perché adottasse un trattato che prevedeva ispezioni immediate da parte di tecnici esterni. Pensava che, se gli ispettori avessero potuto verificare che l’Iraq aveva abbandonato il suo programma di armi chimiche, si sarebbe evitato l’intervento”.

“Quando gli iracheni decisero di accettare la convenzione, l’amministrazione Bush gli chiese di interrompere i negoziati. ‘Penso che la Casa Bianca fosse preoccupata del fatto che se avessi avuto successo ciò gli avrebbe incasinato i piani per l’invasione”, ha dichiarato”.

“Non molto tempo dopo, ricorda Bustani, Bolton si presentò nel suo ufficio all’Aia chiedendogli di dimettersi. Quando Bustani rifiutò, Bolton disse: ‘Sappiamo che hai due figli a New York. Sappiamo che tua figlia è a Londra. Sappiamo dove si trova tua moglie'”.

Bolton ha ovviamente negato l’episodio. Bustani subito dopo fu dimissionato dai dirigenti dell’Organizzazione, pagati da Washington (così sul Newyorker). E fu guerra.

 

Mondo
16 Maggio 2024
Gaza, l'ossessione Netanyahu