5 Marzo 2022

Ucraina: la Merkel per negoziare?

Ucraina: la Merkel per negoziare?
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Putin come Hitler? È un’identificazione che va consolidandosi nell’informazione, che in uno stato di guerra come l’attuale tende a polarizzarsi e a confondersi con la propaganda, con tutte le conseguenze del caso.

Se l’aggressione e le sofferenze procurate all’Ucraina restano inaccettabili, occorre però evitare semplificazioni che rischiano di provocare ulteriori danni e pongono ulteriori rischi nel mondo.

Sul punto appare interessante l’intervista di Stefano Montefiori al francese Benjamin Hautecouverture. Il politologo, esperto in armi nucleari, ha infatti spiegato al Corriere della Sera che “la guerra in Ucraina è passata da bassa ad alta intensità”, ma che comunque, nonostante le devastazioni e le sofferenze che sta causando, sul piano militare si sta sviluppando in modo “razionale”.

L’esercito russo, cioè, sta procedendo secondo una logica e finora sono state rispettate le linee rosse relative al rischio di un ingaggio nucleare Est – Ovest e le linee arancioni relative a uno scontro diretto tra forze russe e Nato.

“Non penso che allo stato si debba avere paura di un Putin impazzito che scatena la terza guerra mondiale”. Conclude Hautecouverture. Tale precisazione è importante perché con Hitler non si negozia, essendo il conflitto portato sul livello esistenziale.

Se si sta alle cose, anche il cessate il fuoco e l’apertura di corridoi umanitari di oggi è indizio di tale razionalità, per quanto applicata in un conflitto che non avrebbe dovuto iniziare.

Sul punto, il direttore della Repubblica, Maurizio Molinari, ha parlato di una strategia russa che ha come unico scopo quello di accelerare le operazioni militari. Resta che se si possono in tal modo limitare le vittime civili è un bene (sarebbe stato un bene applicare tale opzione in altri conflitti, dall’Iraq alla Libia, dove invece non è mai stata presa in considerazione).

Al di là della digressione, l’identificazione di Putin con Hitler ha dei precedenti: tutti i nemici dell’Occidente in questi ultimi anni sono stati identificati con Hitler: da Saddam a Gheddafi, da Assad all’ajatollah Khamenei, con una coazione a ripetere che non aiuta a districare le complessità.

Non ci sono forni crematori in Russia e non verranno costruiti. E sebbene Putin abbia intrapreso un’aggressione illegittima e inaccettabile contro uno Stato sovrano, trattare con lo zar è ancora un’opzione percorribile per limitare i danni presenti e futuri, tanto che tale via è stata rilanciata dal premier israeliano Naftali Bennett, che certo ha informazioni molto accurate sulla Russia grazie alla sua efficace intelligence.

L’identificazione di Putin con Hitler esclude apriori tale opzione dal novero delle possibilità, dal momento che nessun politico occidentale vorrebbe essere identificato come un novello Chamberlain, che con Hitler trattò per venirne ingannato, né vorrebbe far rivivere i fasti di Monaco, con una pace che il dittatore infranse subito dopo.

Negoziare con Mosca, nonostante tutto, è l’unica opzione realistica, anche perché prima o poi si arriverà a questo, perché il mondo non può permettersi di restare sospeso al pericolo di un conflitto nucleare, oggi più vivo che mai a causa delle incertezze riguardo le linee rosse, che nel corso della Guerra Fredda erano invece nette, escludendo tale opzione dal novero delle possibilità.

Da questo punto di vista, val la pena riferire le acute osservazioni di Lucio Caracciolo (La Stampa). Anzitutto sulle sanzioni: “Per piegare i russi, storia insegna, non basta isolarli e affamarli”. Quindi sul regime-change: “Si può sperare in un colpo di Stato che installi al Cremlino una personalità abilitata a trattare la pace. Con ciò ammettiamo di aver mandato gli ucraini allo sbaraglio, salvando l’anima nostra al prezzo dei loro corpi. Ci rimettiamo alla saggezza di un generale o di uno spione russo. Difficile anche solo da raccontare a noi stessi”.

Resta l’opzione di trasformare l’Ucraina in un super-Afghanistan nel cuore dell’Europa, ma certo, inviando mercenari al modo dei mujahiddin “potremmo dissanguare i russi, che però non sgombrerebbero l’Ucraina come fecero in Afghanistan perché troppo vicina alle mura del Cremlino”. Inoltre, tale guerra di logoramento “è destinata a produrre quella guerra totale con la Russia che la Nato assicura di non volere”.

Su quest’ultimo punto, Ted Galen Carpenter annota che l’esperienza di Washington “non è incoraggiante”, ricordando come il sostegno ai mujahedin “finì per rafforzare e avvantaggiare in modo sproporzionato le fazioni islamiche più radicali”, producendo il mostro al Qaeda. E conclude: “L’assistenza di Washington alla resistenza afgana alla fine non ha giovato né all’Afghanistan né agli Stati Uniti” (Responsible Statecraft).

L’unica opzione, dunque, resta il negoziato, e Caracciolo immagina che la Merkel sarebbe perfetta per tale ruolo. Forse sì, forse no, dal momento che i falchi russi hanno rimproverato a Putin di aver creduto alla Cancelliera al termine della prima guerra del Donbass, accettando gli accordi di Minsk mai concretizzati; mentre, avendo vinto la guerra (l’esercito ucraino era stato sbaragliato), i russi avrebbero potuto imporre le condizioni dei vincitori. Insomma, il precedente potrebbe non essere d’aiuto.

Ma al di là della figura o delle figure che dovrebbero avere investite da tale ruolo, resta che quella indicata da Caracciolo è l’unica via percorribile per limitare la tragedia umanitaria ucraina e i danni al mondo (l’aumento dei prezzi dell’energia è solo un preludio a tanti disastri).

Alcuni analisti reputano che Putin stia rinverdendo i fasti di Stalin, anche se con diverse modalità. Ma anche con Stalin, che a determinazione e follia non scherzava, l’Occidente trovò un accordo duraturo.

 

Ps. In un’intervista alla BBC, il Segretario di Stato Usa Anthony Blinken riferisce degli armamenti inviati in Ucraina per difendere il Paese, nell’ultimo anno un miliardo di dollari, anche prima della guerra. “Questo non salva vite…”, fa notare l’intervistatore. ” Beh, io… è molto difficile… difficile dimostrarlo…”, risponde un po’ spiazzato Blinken, poi, più sicuro: “È molto difficile dimostrare il contrario”.

 

 

 

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