La politica estera Usa è fuori dal controllo di Trump?

“Questa è la realtà di ciò che è in gioco, ciò che stiamo affrontando ora, perché mentre ci troviamo qui oggi, siamo più vicini che mai all’orlo dell’annientamento nucleare, i guerrafondai dell’élite politica stanno fomentando incautamente paura e tensioni tra le potenze nucleari”. Così Tulsi Gabbard in un insolito video pubblicato su Youtube dopo una visita a Hiroshima, nel quale chiede ai popoli di far sentire la loro voce per fermare tale deriva.
La Gabbard sa di cosa sta parlando, dal momento dirige l’Intelligence nazionale americana e ha accesso alle informazioni più riservate delle varie agenzie federali. Non uno scherzo di cattivo gusto, ma la drammatica realtà, che si è fatta ancora più stringente dopo l’attacco ai bombardieri strategici russi della scorsa settimana.
Attacco che nasconde retroscena inquietanti, al di là delle motivazioni di cui abbiamo scritto in una nota pregressa, cioè vanificare il processo di pace di Istanbul, che si teneva il giorno successivo, e innescare una reazione russa per dare inizio a conflitto diretto con l’Occidente.
Ne scrive Alastair Crooke in un articolo pubblicato sul sito del Ron Paul Institute, nel quale delinea tali retroscena. Il primo, che discende dal fatto che gli ucraini non potevano condurre un’operazione tanto sofisticata in solitaria, è che a coordinare l’operazione sia stata l’America, ovviamente in combinato disposto con la Gran Bretagna (con Londra che peraltro sta gestendo l’Unione europea, tirando le fila dei burattini innalzati al vertice della Ue e della Germania).
Tale gestione eterodiretta dell’attacco è ovvia, ma Crooke spiega che forse Trump ha dato il suo placet credendo a quanto riferito dai suoi consiglieri, secondo i quali la Russia era vicina al collasso così che, aumentando la pressione su di essa – attraverso attacchi strategici tesi a degradarne il morale – sarebbe costretta a cedere.
Nel caso, sarebbe stato vittima della mancanza di realismo dei suoi consiglieri, persi nelle loro fumisterie e incapaci di comprendere la reale forza economica e militare della Russia. Crooke non lo specifica, ma portando a sostegno di tale ipotesi un post di Trump, è ovvio che tale placet, sempre che ci sia stato, sarebbe stato limitato. Questo il post del presidente Usa citato: “Cose brutte – se non fosse stato per me – cose DAVVERO BRUTTE sarebbero successe alla Russia”.
Più credibile la seconda ipotesti avanzata da Crooke, cioè che “forse i suoi consiglieri, inavvertitamente o deliberatamente, hanno ‘fregato’ Trump e il suo programma di normalizzazione delle relazioni con la Russia”. L’iniziativa di attaccare i bombardieri strategici russi sarebbe stata cioè presa tenendo all’oscuro il presidente, e giustificata successivamente con la scusa che “la CIA aveva semplicemente operato in base a una vecchia ‘direttiva’ presidenziale che autorizzava attacchi in profondità nell’entroterra russo”.
Al di là delle nostre considerazioni, secondo Crooke in entrambi i casi quanto accaduto significa “una sola cosa: che Trump non ha il controllo”. Concetto che amplia in altra parte della nota spiegando che un obiettivo strategico dell’attacco – che andando a segno ha dimostrato che era “fattibile” eludere il presidente – è che ha “imposto a Trump la scomoda realtà di non avere il controllo della politica estera statunitense […]. Il Deep State collettivo glielo ha chiarito”.
E, in proposito, cita il generale Michael Flynn che spiega: “Lo Stato profondo sta ora agendo al di fuori del controllo della leadership eletta della nostra nazione… gli uomini dello Stato profondo sono impegnati a provocare la Russia ad aprire un confronto su grande scala con l’Occidente”.
L’allarme lanciato dalla Gabbard, in una forma tanto insolita, sembra confermare le difficoltà di Trump, che potrebbe averle chiesto di prendere tale sorprendente iniziativa.
Non solo. Crooke spiega anche che l’attacco contro la Russia si è avvalso di una vulnerabilità dei Trattati Salt-Start sulle armi nucleari, in particolare l’articolo XII del trattato Start che richiede alle potenze firmatarie “l’esposizione visibile di tutti i bombardieri pesanti all’interno della base aerea” che li ospita. Ciò perché possano essere monitorati dai satelliti nemici per impedire il “first strike” di uno dei duellanti.
L’attacco ai bombardieri strategici russi, quindi, mina uno dei fondamenti dell’intesa sulla mutua vigilanza del potenziale nucleare, con tutte le conseguenze del caso.
Secondo Crooke, la Russia starebbe preparando una reazione altra rispetto a quella registrata finora, che si è dipanata attraverso un incremento degli attacchi convenzionali in Ucraina, ma potrebbe non essere così.
È ovvio che Trump, nel corso della telefonata distensiva con Putin, gli abbia chiesto di pazientare, di rispondere in modo misurato per non metterlo nelle mani dei comuni nemici (esterni per lo zar, interni per il presidente Usa).
E, allo stesso tempo gli abbia assicurato che farà di tutto per evitare iniziative analoghe. Ed è probabile che Putin abbia accettato, consapevole dei limitati margini di manovra del suo interlocutore e della necessità di non consegnarlo nelle mani dei comuni nemici.
Ma Trump deve fare in fretta a cambiare cose se vuole prendere il controllo di una macchina gestita da altri. Un piccolo, ma non per questo insignificante, segnale arriva dal nuovo programma per i finanziamenti della Difesa elaborato dal Segretario di tale dicastero, Pete Hegseth, uno dei pochi uomini fedeli a Trump nella sua amministrazione (infatti, è stato uno dei pochi che ha dovuto sudare per essere confermato nell’incarico dal Congresso, insieme, non a caso, a Tulsi Gabbard).
Al piano elaborato da Hegseth è dedicato un articolo di Responsible Statecraft dal titolo significativo: “Il Segretario della Difesa dichiara guerra al complesso militare-industriale”. Spiegando i tagli alla difesa, infatti, Hegseth ha dichiarato che qualche grande industria delle armi potrebbe fallire nel giro di uno o due anni. Il testo prevede anche un taglio degli aiuti diretti a Kiev…
In realtà, non si tratta di uno scontro alzo zero con uno degli apparati di riferimento del Deep State, né sembra, almeno ad oggi, che l’Ucraina resti del tutto priva di aiuti made in Usa, e però segnala un’inversione di tendenza che allarma non poco i circoli suddetti, che non sopportano alcuna limitazione.
Resta che il testo deve essere approvato dal Congresso nel quale tanti esponenti hanno rapporti più o meno confessabili con l’apparato militar-industriale. L’approvazione sarà più che travagliata ed è probabile che il piano subisca cambiamenti che lo rendano meno indigesto, se non addirittura gradito, ai tanti che lucrano sulle guerre made in Usa (dichiarate e non).
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