29 Settembre 2015

Obama, Putin e le forze del caos

Obama, Putin e le forze del caos
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L’armonia nascosta è più potente di quella manifesta. Frase di Eraclito che vogliamo usare per accennare a quel che è successo in questi giorni negli Stati Uniti d’America, al margine della plenaria dell’Onu. sede di quell’organizzazione fondata per risolvere le controversie tra Stati e far rispettare il diritto internazionale.

Protagonisti alcuni dei principali attori della scena di questo mondo, che si sono recati in questi giorni negli Usa intessendo una significativa trama di rapporti.

 

Barack Obama ha incontrato il presidente cinese Xi Jinping con il quale ha trovato convergenze su inquinamento atmosferico e guerra informatica. Non sono certo questi i motivi profondi del conflitto tra le due potenze, i quali vertono in realtà sull’espansione della sfera di influenza cinese in Asia (e non solo) e sulle contese economiche tra le due maggiori economie del pianeta.

 

E però i temi oggetto della sintonia tra i due presidenti sono stati più volte al centro di accese controversie tra le due potenze. L’accordo, quindi, costituisce un passo che va in direzione dell’attutimento del conflitto sottotraccia che da alcuni anni abita l’asse Pechino – Washington. E potrebbe essere – almeno nelle intenzioni dei dialoganti – foriero di ulteriori passi distensivi nell’area del Pacifico.

 

Negli stessi giorni, mentre papa Francesco si trovava all’Avana, un altro conflitto, il più annoso e sanguinoso dell’America latina, registrava un passo decisivo verso la risoluzione, quello tra i guerriglieri delle Farc e il governo colombiano. Distensione che, restituendo alla pace la Colombia (al di là dell’endemico tormento del narcotraffico), potrebbe avere conseguenze positive per tutta l’America latina.

 

Infine il confronto tra Obama e Vladimir Putin sulla Siria (e altro). Il primo ha ribadito l’ostilità degli Stati Uniti verso il «dittatore» Assad, e sciorinato le note accuse contro il presidente siriano (armi chimiche, bombardamenti etc. delle quali abbiamo ampiamente trattato). Il secondo ha confermato il sostegno russo al presidente siriano, al momento l’unico baluardo reale al dilagare dell’Isis.

 

E però, sul tema, vanno segnalati due passaggi del discorso di Obama, nei quali ha affermato: «Gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con qualsiasi nazione, inclusi Russia e Iran, per risolvere il conflitto […] Il realismo impone che sarà necessario un compromesso per mettere fine ai combattimenti e per distruggere definitivamente l’Isis. Ma il realismo impone anche una transizione gestita, che permetta la fuoriuscita di Assad verso un nuovo leader, e un governo inclusivo che riconosca che bisogna mettere fine a questo caos».

 

Paolo Valentino, sul Corriere della Sera del 29 settembre, ha spiegato: «Nelle parole transizione gestita sta forse la soluzione dell’arcano: la frase di Obama è l’ultimo segnale che, ferma restando l’ostilità di fondo verso Assad, Washington potrebbe essere disposta ad accettare che rimanga al suo posto ancora per qualche tempo. Almeno fino a quando l’azione concertata della costruenda coalizione internazionale avrà rovesciato la situazione sul campo a sfavore dell’Isis».

 

Ancora è da capire come si svilupperà l’azione comune anti-Isis, che forse si limiterà a una convergenza parallela delle due superpotenze. Ma l’accenno di Valentini spiega come durante la guerra all’Isis si svilupperanno le trattative vere e proprie sul destino della Siria e di Assad, per giungere a un compromesso. Poteva andare meglio, certo: l’Isis potrebbe aver vita brevissima sotto il fuoco incrociato di tale convergenza, mentre le trattative allungheranno i tempi (e le sofferenze del popolo siriano).

Ma è un primo passo reale verso un processo virtuoso e va registrato con sollievo.

 

Ma occorre tener presente che il confronto con le forze dell’Isis (e dei suoi sostenitori occulti) troverà complicazioni. Alcune di queste le spiega Ian Bremmer sul Corriere della Sera dello stesso giorno, in un’intervista nella quale appare infuriato per quello che definisce un «trionfo» di Putin (cosa che infatti è). Al Corriere Bremmer ha affermato che i russi devono prepararsi a vedere il ritorno in patria di «cadaveri di soldati in buste di plastica». Non solo: eventuali successi della coalizione anti-Isis, sempre secondo Bremmer, innescheranno una massiccia reazione contraria e si assisterà al «reclutamento di volontari da tutto il mondo, pronti a combattere per lo Stato islamico».

 

Comunque, al di là delle previsioni minacciose del vate neocon, resta il presente, abitato da una speranza ineffabile. Quel che è avvenuto in America in questi giorni, infatti, è qualcosa di nuovo: un momento di attutimento del lungo conflitto che sta affaticando il mondo (agitato dalla terza guerra mondiale fatta a pezzi, per usare un’espressione felice di Francesco). Un momento di sospensione: l’inizio, seppur accennato e ambiguo, di una trattativa globale per un suo superamento.

 

Qualcosa di simile sembra segnalare un passaggio dell’omelia che il Papa ha tenuto nella messa con la quale ha concluso il suo viaggio negli States, quando ha detto che il mondo «è stanco di inventare nuove divisioni, nuove rotture, nuovi disastri». Dove è importante anche la parola che abbiamo sottolineato.

 

In appendice a queste considerazioni, piace riportare quanto affermato dal Capo del Dipartimento di Stato americano, John Kerry, in un’intervista rilasciata a Massimo Franco per il Corriere della Sera del 23 settembre, Interpellato sull’importanza del viaggio di Francesco negli Usa, ha detto: «Gli attori religiosi possono giocare un ruolo fondamentale nel contenere le forze del caos e stabilire un nuovo ordine mondiale».

 

L’abbiamo riportata non tanto per sottolineare il ruolo del Papa o di altri leader religiosi, ma per quell’accenno alla natura dello scontro in atto, che non è tanto tra Stati, quanto tra due forze planetarie confliggenti: le forze del caos, che usano dell’immenso potere economico-finanziario accumulato per promuovere il disordine – che per tali forze è fonte di opportunità, come spiegato in un precedente articolo al quale rimandiamo chi non lo ha letto – e quelle che tendono, pur nelle contraddizioni e nelle ambiguità che abitano la politica, a instaurare un nuovo ordine nel mondo.

 

La frase usata da Kerry, politico che ha fatto del pragmatismo e della realpolitik la sua cifra identitaria (a differenza di altri politici Usa che propendono ai richiami religiosi), contiene un’eco suggestiva. Ricorda infatti quanto scritto da san Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi, nella quale accenna al katechon – nel quale molti studiosi hanno ravvisato l’Impero romano, ovvero il potere dello Stato – come forza che frena, ovvero «contiene» per usare la parola di Kerry, l’anticristo, altro nome per indicare appunto le «forze del caos».

 

Nota a margine. Nelle stesse ore in cui avveniva il brindisi tra Obama e Putin (immagine icastica di quanto successo realmente negli Usa) è stato ucciso Cesare Tavella, cooperante italiano che lavorava in Bangladesh. Un assassinio rivendicato dall’Isis, come annunciato dall’organismo Site, “specializzato” nella scoperta di tali rivendicazioni.

 

L’uomo è stato affiancato da una moto mentre faceva jogging e ucciso con colpi di pistola (nella rivendicazione si sostiene fossero dotate di silenziatore, ma il particolare non ha trovato conferma). Un modus operandi distante anni luce da quello usato abitualmente da tale organizzazione terroristica. Più da mafia o servizi segreti. Oltre a significati più intrinseci, questo omicidio appare la risposta-sfida dell’Isis a quanto avvenuto in America.

Segnala che la lotta continua e può prendere altre forme, anche in caso di una possibile débacle sul campo in Siria e Iraq.

 

 

 

 

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