20 Luglio 2017

La Chiesa nella tempesta

La Chiesa nella tempesta
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Un nuovo scandalo ha scosso i pilastri della Chiesa, quello degli abusi commessi sui ragazzi del Coro di Ratisbona. Uno scandalo benedetto, perché oportet ut scandala eveniant.

 

E però, invece di rallegrarsi per l’opera di pulizia che la Chiesa sta realizzando, unica istituzione al mondo che ha intrapreso questa strada (anche se non certo l’unica funestata da tale piaga), si è usato di tale scandalo per gettare fango sul Papa emerito tramite il fratello Georg, che di quella scuola di canto fu a lungo maestro. Il Papa che per primo e in maniera risoluta ha messo mano a quest’opera di pulizia.

 

I giornali ieri riportavano che sono stati commessi sui ragazzi del coro oltre cinquecento abusi, come emerso dalla ricostruzione degli inquirenti ecclesiastici. Abusi vari, sommati mettendo nello stesso calderone ceffoni e abusi sessuali, che sono cose del tutto diverse.

 

Non si vuole in questa sede banalizzare le oltre sessanta malversazioni sessuali riscontrate, o le punizioni corporali a volte più che severe, crudeli, inferte agli stessi.

 

Solo registrare che si voleva dare un impatto devastante alla notizia e il numero 500 abbinato alla voce “pedofilia” si prestava meglio allo scopo. Confusione voluta quindi, e sia Georg Ratzinger che il cardinale Müller ne sono usciti, appunto, devastati.

 

Al primo si rimproverano gli scapaccioni dati agli alunni, quelli presi anche da tanti di noi nelle scuole pubbliche e che un tempo erano quasi prassi. Ma soprattutto il fatto che non poteva non sapere – formula magica usata spesso in casi simili – quel che accadeva nella scuola annessa al coro, che si trovava peraltro in un altro paese.

 

Probabile, anzi sicuro che immaginasse che anche in quella scuola (come probabilmente in tutte le scuole tedesche) l’educazione dei ragazzi comprendeva qualche ceffone, anche se è davvero difficile credere che gli fosse nota la portata di certe punizioni riscontrate nell’inchiesta.

 

Al di là, quel che è  certo è che la sicurezza con la quale si è scritto che egli abbia celato di proposito quegli abusi sessuali è un’accusa più che indebita, scorretta.

 

È infatti davvero difficile immaginare che Georg sapesse più dei genitori dei ragazzi abusati, i quali se avessero avuto contezza di tali crimini presumibilmente li avrebbero denunciati o almeno avrebbero ritirato i propri figli dalla scuola.

 

Ma l’operazione Ratisbona, come detto, non mira solo a infangare Georg e quindi la veste bianca del più noto fratello, ma anche a infangare uno dei cardinali più prossimi al papa emerito, ovvero Gerhard Müller, che di Ratisbona è stato vescovo. L’ex prefetto della Congregazione per la Dottrina cattolica, infatti, secondo i suoi accusatori, pur avendo lui stesso avviato l’indagine, sarebbe stato poco efficace.

 

Oggi Müller si difende in modo articolato e convincente attraverso un’intervista al Corriere della Sera, ma già ieri il gesuita Hans Zollner, che dirige il Centro per la protezione dell’infanzia presso l’Università Gregoriana, aveva spiegato in un’intervista allo stesso quotidiano che «il cardinale Müller è stato molto più in linea con la cosiddetta “tolleranza zero” di quanto non si sappia o si dica» (leggere qui).

 

Purtroppo, come capita spesso, i laudatores mediatici di papa Francesco hanno cavalcato la notizia, producendo la sgradevolissima impressione che il papa regnante fosse ben felice del fango piovuto sul suo predecessore.

 

Finalmente rimosso il freno Ratzinger e fatto fuori il suo scherano Müller, immaginano tali laudatores, la prospettiva del compimento del Concilio Vaticano II diventerebbe più prossima (il loro Concilio Vaticano II, ché a quell’assise parteciparono con frutto e gioia anche altri che non i loro referenti ecclesiali, tra cui lo stesso Ratzinger, ricavandone altre prospettive).

 

Tali laudatores non fanno bene alla Chiesa né al “loro” papa Francesco, che poi è il Papa di tutti i cattolici (cosa che sembrano dimenticare, mettendo così Francesco a capo di una fazione, la “loro”). Né fa bene alla loro prospettiva conciliatorista, che se vuol dirsi cristiana non può imporsi come esito di uno scontro di potere umano come l’attuale.

 

In realtà tali laudatores stanno facendo il gioco di altri, come accade spesso a certa sinistra che si fa levatrice della destra più retriva. Che dopo averli usati ne prenderà le distanze e li getterà nella discarica della storia.

 

Già perché lo scontro che si sta consumando nella Chiesa, e la sta consumando, non è altro che il prolungamento di quanto avveniva durante il Pontificato di Benedetto XVI.

 

Quando papa Ratzinger tuonava: «Che la libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!».

 

Una guerra per bande, allora, uno scontro che rischiava di distruggere la Chiesa. E che Benedetto XVI aveva sperato potesse risolversi con l’avvento di un altro pontefice, totalmente nuovo e quindi più libero di poter intervenire su quel corpo malato. Questa la ragione ultima delle sue dimissioni.

 

L’elezione di Francesco però, lungi dal dissipare quel conflitto, l’ha reso solo più sofisticato attraverso la variabile ideologica, che ha fatto diventare quella guerra per bande un apparente scontro tra la destra e la sinistra cattolica (e tanti vi si sono coinvolti di lontano: partecipano o l’osservano credendo in buona fede che sia veramente questo il conflitto in atto…). Uno scontro che vede i cosiddetti progressisti schierati con il Papa regnante e i cosiddetti tradizionalisti con l’emerito.

 

Non si tratta in questa sede di stigmatizzare quei fedeli che nel proprio cuore provano simpatie o prossimità per l’uno o per l’altro, solo delineare la posta in gioco, che è quella di ribaltare gli attuali equilibri della Chiesa a favore di un ambito altro e diverso, che usa destra e sinistra per affermarsi. E accennare come questo gioco al massacro vede entrambi i Pontefici sconfitti e con essi la Chiesa.

 

Difficile immaginare come uscire da tale situazione, ma certo non bastano le foto che ritraggono i due papi in armonia, come accaduto l’ultima volta agli inizi di luglio, quando Francesco è andato a trovare il suo «amato predecessore» con i porporati appena creati. Né i laudatores di Francesco, ostili a Ratzinger, possono essergli d’aiuto in tal senso, anzi.

 

Abbiamo accennato alla visita del luglio scorso anche perché in quella circostanza papa Benedetto XVI ebbe a dire: «Il Signore alla fine vincerà». Cenno più che significativo, ma che va integrato con altri, contenuti nel messaggio redatto di recente per la morte del cardinal Joachim Meisner.

 

In tale missiva, infatti, il papa emerito scrive che «il Signore non abbandona la sua Chiesa, anche se a volte la barca sta per capovolgersi». Questa la gravità del momento e la speranza con cui si può guardare questa tempesta.

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Ma più importante, «centrale» scrive il Papa, il rimando alla giornata mondiale della gioventù a Colonia, quando lui, allora papa regnante, si era messo in ginocchio davanti all’eucarestia, proponendo ai convenuti di adorare il Signore.

 

Così scrive Benedetto XVI: «L’adorazione, un silenzio in cui solo il Signore parla ai cuori. Alcuni esperti di pastorale e di liturgia credevano che il silenzio non poteva essere raggiunto agli occhi del Signore a causa del gran numero di persone. Alcuni di loro erano anche del parere che l’adorazione eucaristica fosse datata in quanto tale, perché il Signore dovrebbe essere ricevuto nel Pane eucaristico e non altrimenti. Ma non si può mangiare questo pane come qualsiasi altro cibo…».

 

Un rimando, quello alla giornata di Colonia, che nel nostro piccolo avevamo più volte indicato per sottolinearne l’importanza. Un momento nel quale un Papa, il Papa, si era fatto da parte per far posto al Signore. Infatti solo così il Signore può vincere nella Chiesa, quando essa gli dà spazio.

 

Ma quando nella Chiesa si è refrattari a far posto al Signore, presi dalle proprie lotte o da propri progetti e prospettive, allora anche Dio – come del resto i semplici fedeli – si disinteressa e guarda altrove.

 

Così guarda al mondo, al mondo che lui ha creato, in modo diverso. E lo usa per salvare la sua Chiesa, nonostante la dura cervice dei suoi. Cosa che sembra sfuggire ai clericali che si stanno scontrando, per i quali l’orizzonte è ristretto alla sola Chiesa. La “loro” Chiesa, ovviamente, non quella del Signore.

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