17 Febbraio 2017

La Madonna del Conforto

di Massimo Rossi
La Madonna del Conforto
Tempo di lettura: 3 minuti

«Voglio accendere il lume alla Gran Madre di Dio, l’ho acceso tante sere, voglio accenderlo anche questa sera». E, posta la lampada sotto l’immagine della Madonna, Antonio Tanti, insieme ad altri due calzolai aretini, Giuseppe Brandini e Antonio Scarpini, s’inginocchia e inizia a recitare le litanie della Madonna.

 

Chissà cosa avevano nel cuore quei tre poveretti. Di certo quelle preghiere dovevano avere un accento un un po’ più fervido del solito, dal momento che la loro città, Arezzo, e i suoi dintorni, da due settimane erano scosse da terremoti continui, che seminavano morte e distruzione.

 

L’immagine alla quale avevano scelto di indirizzare quell’umile fervore non era particolarmente artistica. Una semplice maiolica con su raffigurata una piccola riproduzione della Madonna di Provenzano, icona molto venerata nella vicina città di Siena, della quale è patrona.

 

L’immagina sacra, frutto della devozione di qualche ignoto artista locale, faceva bella posta di sé in luogo alquanto profano. La piccola terracotta, infatti, – un quadretto di fattura artigianale di poco meno di quaranta centimetri per lato – era situata in un’oscura taverna per la mescita del vino destinato ai più poveri, in una proprietà dei monaci camaldolesi.

 

Un luogo infimo, ai margini di Arezzo, non certo immaginato per la preghiera. Ma in Paradiso non si fa caso a certi dettagli. Infatti, improvvisamente, alle prime invocazioni, i tre avventori e la cantiniera, Domitilla Bianchini, notano che l’immagine inizia a perdere il suo colore naturale per diventare bianca e lucente.

 

«Guardate, guardate come la Madonna si muta!”, esclama uno di loro. E subito anche gli altri iniziano a costatare il sorprendente cambiamento: la piccola terracotta era divenuta bianca come la neve e l’immagine della Madre di Gesù si era fatta così brillante che “parea avesse sul petto rubini e diamanti”.

 

Il prodigio provoca un terremoto nella città, stavolta benefico: la notizia di quanto avvenuto in quella remota taverna corre di bocca in bocca e subito, riferiscono le cronache, una folla immensa accorre a vedere, a pregare, a elevare suppliche. Alcune delle quali vengono accolte all’istante.

 

Grazie particolari e guarigioni miracolose che a loro volta attraggono un folla ancor più numerosa. Era il pomeriggio del 15 febbraio del 1796 quando accadeva tutto questo. Una data che entrerà nella storia di Arezzo, perché dopo quel miracolo la terra smise di tremare. Le preghiere dei poveri avevano ottenuto, per intercessione della Madonna, la liberazione dal terremoto.

 

La devozione popolare intorno alla piccola maiolica continua così commossa e diffusa da indurre il vescovo dell’epoca, il pisano Niccolò Marcacci, a trasferire l’icona nella Cattedrale. E ad avviare un’inchiesta canonica che facesse luce sugli eventi di quelle ore, fra i quali, appunto, anche grazie particolari e miracolose guarigioni.

 

Da allora la Madonna del Conforto, come la si volle chiamare con titolo felice, vigila su Arezzo. Il Tanti, accendendo quell’usato cero, aveva avviato un meccanismo meraviglioso, che da allora ha continuato a riversare grazie su grazie sulla città e sui pellegrini che accorrono a venerare la sacra icona.

 

Il 15 febbraio di ogni anno, infatti, salgono alla Cattedrale, posta sul colle più alto della città, decine di migliaia di pellegrini. Una moltitudine immensa, se si pensa anche che il capoluogo conta solo centomila abitanti.

 

Quel giorno la cappella mariana diviene il cuore pulsante della vita liturgica e pastorale della diocesi: l’occasione per tanti di accostarsi ai sacramenti, dalla confessione alla comunione eucaristica. Una folla ancor più numerosa di quella che di solito si raduna in Cattedrale per le solennità del Natale e della Pasqua.

 

La folla di fedeli sfila ininterrottamente davanti alla prodigiosa immagine di Maria: alcuni vi depongono un fiore; molti fanno ardere un cero, a imitazione del gesto del Tanti. Qualcuno si commuove visibilmente, altri meno; nessuno, però, rinuncia a sostare qualche istante dinanzi all’altare su cui è conservata la venerata immagine, alla ricerca di ristoro e consolazione nelle difficoltà del cammino della vita.

 

Una devozione a tal punto radicata e diffusa che ha meritato alla Madonna del Conforto non soltanto, nel 1814, il dono della “Corona aurea” da parte del Capitolo di San Pietro in Roma, ma anche la visita di tre papi.

 

Il primo a farle pubblica visita fu Pio VII, che nel 1805 volle iniziare proprio lì, il 1º maggio, il mese mariano. Gli ultimi, invece, vi sono giunti in tempi recentissimi: san Giovanni Paolo II, il 23 maggio del 1993, e Benedetto XVI, il 13 maggio 2012 (significativamente il giorno anniversario dell’apparizione di Fatima, di cui quest’anno ricorre il centenario).

 

È tempo di terremoti in Italia (e non solo). Anche per questo ci è caro ricordare questa devozione particolare. Legata a un’umile immagine che rimanda a un grande miracolo. Un’icona che da secoli continua a elargire il conforto del Signore ai tanti poveri peccatori che vi si accostano.

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