Polonia e Corea del Sud: la vittoria dei candidati post-atlantisti

Elezioni importanti quelle che si sono tenute negli ultimi giorni in Polonia e Corea del Sud, in particolare se si tengono presente le linee di faglia che attraversano il mondo in questo scontro globale tra le pulsioni muscolari dell’unipolarismo iper atlantista e le spinte distensive del multipolarismo che ha i suoi attuali focus in Ucraina e a Gaza (entrambe guerre per procura dell’Occidente: cosi la leader Tory Kemi Badenoch).
La conflittualità globale sopra descritta è volgarizzata dai media mainstream in una narrativa infantilistica che vedrebbe contrapposte le ragioni del liberalismo democratico alle derive populiste proprie del sovranismo, mentre ben altra complessità vige nel mondo.
Nawrocki, l’ucrainofobo
Se la vittoria di Karol Nawrocki alle presidenziali della Polonia viene ascritta al sovranismo e a Trump, che in effetti l’aveva sponsorizzato, e quella di Lee Jae-myung alle forze liberali opposte alla destra sovranista, è più precipuo registrare che in entrambe le elezioni hanno vinto figure aliene all’ecumene liberal-neocon e alle loro fumisterie volte a ripristinare l’unilateralismo americano, la faccia più brutale, in modalità neocon, dell’altrettanto aggressiva globalizzazione di matrice liberal.
In Polonia le forze liberal-europeiste pensavano di poter ripetere le manovre che avevano prodotto risultati a esse favorevoli in Romania e Moldavia, con le presidenziali romene perse, annullate e procrastinate per dar tempo al loro favorito di vincere, e quelle moldave decise da un improbabile voto estero a favore della prescelta.
Non è andata così e il voto polacco è stato appannaggio di un nazionalista che ha fama di “ucrainofobo“, avendo fatto diverse dichiarazioni contro Kiev: Nawrocki si è detto contrario all’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella Ue; ha rimproverato Kiev di non aver ricambiato i lauti aiuti inviati dal suo Paese per sostenerla e anzi ha distrutto l’agricoltura polacca con il suo grano sottocosto; ma soprattutto ha rinfacciato al Paese vicino di non aver mai fatto i conti col passato.
Nawrocki e i nazisti ucraini
E qui la cosa si fa più che interessante: infatti, appena eletto, Nawrocki ha dichiarato che l’Ucraina deve regolare quei conti e non sembra affatto un caso che, dopo pochi giorni, il Parlamento polacco abbia varato una legge che dichiara l’11 luglio “Giorno della memoria delle vittime del genocidio commesso dall’OUN e dall’UPA nei territori orientali della Seconda Repubblica Polacca”.
Il riferimento è ai massacri perpetrati nella Volinia dall’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) e dall’esercito insurrezionale ucraino (UPA) a essa collegata, fazioni naziste venerate in Ucraina, dove il fondatore dell’OUN, Stepan Bandera, è considerato un eroe nazionale.
In Ucraina non l’hanno presa bene e in un comunicato del ministero degli Esteri ha lamentato: “Invitiamo la Polonia ad astenersi da iniziative che potrebbero aumentare la tensione nelle relazioni bilaterali e compromettere i risultati del dialogo costruttivo e della cooperazione tra Ucraina e Polonia”.
Peraltro, Kiev ha stigmatizzato il fatto che la legge indichi la Volinia come parte della Seconda Repubblica Polacca, cioè come se Varsavia vantasse ancora pretese su di essa, nonostante oggi sia territorio ucraino.
C’è chi aveva profetizzato che, finita la guerra, l’Ucraina sarebbe scomparsa dalla cartina geografica, con il Donbass alla Russia e il resto spartito dai suoi vicini, anzitutto da Polonia e Ungheria. Profezia che la prosecuzione della guerra, brandita dai volenterosi, rende più concreta.
Anche per questo timore, e per il vulnus all’immagine mitica che aleggia sul nazismo ucraino, magnificato anche dal parlamento canadese in un nefasto incidente di percorso, le autorità ucraine si sono mostrate tanto sensibili all’iniziativa polacca.
Il nuovo corso sudcoreano
Di diverso segno, ma con esiti altrettanto imprevedibili e non in linea con le pulsioni guerrafondaie imperanti, quanto avvenuto in Corea del Sud con la vittoria del liberale Lee Jae-myung, avvenuta dopo mesi di caos nei quali le forze consegnate all’unilateralismo prima dominanti hanno tentato un golpe e spinto per un confronto alzo zero con la Corea del Nord (Piccolenote).
Il nuovo presidente ha dichiarato che cercherà di riconciliare il Paese lacerato dall’accesa polarizzazione, ma quel che interessa in questa sede sono le prospettive che la sua vittoria potrebbe aprire in politica estera.
Lee Jae-myung ha infatti dichiarato che aprirà un processo di pacificazione con la Corea del Nord, parole distensive più che di conforto e che potrebbero anche rinverdire i tentativi di riconciliazione tra Trump e Kim Jiong-un, che il presidente americano ha detto di voler rilanciare e che furono favoriti, nel suo precedente mandato, da una spinta in tal senso del presidente sudcoreano Moon Jae-in.
Di interesse, anche le speranze espresse dal Globaltimes sulle prospettive che potrebbero aprirsi nei rapporti tra Seul e Pechino, quasi collassati con il presidente precedente. Ricordando come Lee abbia dichiarato che la politica estera sudcoreana debba essere improntata al “pragmatismo”, andando oltre le ideologie, ha riferito un suo discorso nel quale dichiarava che “la Corea del Sud non può permettersi di abbandonare i legami con la Cina perché ‘le nostre economie sono profondamente interconnesse e la geografia rende impossibile un distacco. È il fato, il nostro destino'”.
Insomma, la nuova presidenza sudcoreana potrebbe riservare sorprese. Forse anche per evitare tale sviluppo qualche mente sopraffina ha armato la mano dell’attentatore che per puro miracolo non l’ha ucciso nel gennaio dello scorso anno.
La vedova di Abe al Cremlino
Abbiamo ricordato questo episodio di cronaca nera anche per ricordare il destino analogo di un altro leader asiatico meno fortunato, dal momento che l’attentato contro Shinzo Abe del luglio del 2022 ebbe successo.
Più volte premier giapponese e punto di riferimento della politica nipponica, anch’egli, pur da nazionalista, si era liberato dagli stretti vincoli atlantisti, tanto che da premier effettuò una inusitata visita in Cina e nella sua lunga carriera politica incontrò Putin ben 22 volte.
Lo ricordiamo anche perché la scorsa settimana la vedova di Abe, Akie, si è recata a Mosca, dove Putin l’ha accolta nella sala più alta del Cremlino. Si dice sia stata una visita nel quale lo zar ha voluto manifestare il suo cordoglio… forse sì, forse no, anche perché sono passati anni dall’omicidio del marito. Vedremo.
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