6 Giugno 2025

Cisgiordania occupata, record di violenze dei coloni. E l'Idf devasta i campi profughi

di Claudia Carpinella
Cisgiordania occupata, record di violenze dei coloni. E l'Idf devasta i campi profughi
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Violenti attacchi, spedizioni punitive, saccheggi sistematici, ulivi sradicati, bestiame ucciso non per necessità ma per infliggere danno e umiliazione. Questa è la quotidianità imposta ai palestinesi della Cisgiordania occupata. Una realtà che non è iniziata il 7 ottobre 2023, ma che da quella data ha subito un’escalation brutale, raggiungendo livelli di disumanità senza precedenti.  Mai, prima di quest’anno, si erano registrati così tanti attacchi: nel suo ultimo rapporto, l’OCHA ha documentato oltre 220 feriti da gennaio 2025. Con una media aritmetica di 44 palestinesi feriti ogni mese, le Nazioni Unite hanno dichiarato che si tratta del “più alto tasso di attacchi degli ultimi vent’anni”.

Nessun arabo è al sicuro in Cisgiordania, e la cronaca — riportata anche da alcuni giornali israeliani — ne dà una triste conferma. Contadini, allevatori, autisti di autobus, commercianti, bambini intenti a giocare sulle colline di Hebron: tutti diventano bersagli di violente rappresaglie razziste, compiute da chi vorrebbe la West Bank come parte del “Grande Israele”. Non a caso, i coloni — ma anche molti tra i loro rappresentanti politici — la chiamano con i nomi biblici di Giudea e Samaria.

“Un’intera comunità in fuga dai coloni”

Il 24 maggio scorso, tutti i residenti di Mughayyir al-Deir, un villaggio a est di Ramallah, sono stati costretti a un trasferimento forzato per sfuggire alla furia dei coloni, che hanno aggredito selvaggiamente dodici palestinesi, tra cui un ragazzo di quattordici anni. Ad oggi, le 125 persone della comunità beduina di Mughayyir al-Deir non sono ancora tornate al loro villaggio. Nel frattempo, i coloni vi hanno piantato grandi tende, nel tentativo di trasformarlo in un nuovo avamposto.

L’episodio è stato talmente eclatante da suscitare la reazione di diversi Paesi occidentali che, in una dichiarazione congiunta, hanno criticato la politica israeliana ed espresso solidarietà alla comunità palestinese – tra i firmatari figurano Canada, Francia e Regno Unito.

In tutto questo, lo Stato di Israele non solo permette ai coloni di agire impunemente, senza alcuna conseguenza legale, ma li asseconda apertamente. Lo dimostra l’approvazione di 22 nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata: si tratta della più vasta espansione degli ultimi decenni, annunciata giovedì dai ministri della Difesa, Israel Katz, e delle Finanze, Bezalel Smotrich, come parte di un piano a lungo termine per la crescita degli insediamenti.

La “gazificazione” della Cisgiordania”

Eppure, a rendere la vita impossibile ai palestinesi della Cisgiordania non sono solo i coloni, che pure agiscono in totale impunità. Dal 21 gennaio scorso, è iniziata la cosiddetta “Operazione Muro di Ferro”, definita dal quotidiano Haaretz come un processo di “gazificazione della West Bank”.

In poco più di quattro mesi, l’esercito israeliano ha demolito migliaia di abitazioni e devastato interi campi profughi. Tra tutti, spicca quello di Jenin, simbolo della resistenza palestinese. Delle oltre 3.200 unità abitative non resta più nulla: Jenin, che aveva accolto 20mila profughi espulsi da Israele nel 1948, oggi è un quartiere fantasma.

Poi è stata la volta di Tulkarem, dove, tra demolizioni e attacchi brutali da parte dell’IDF, i palestinesi hanno dovuto assistere impotenti all’innalzamento della bandiera israeliana sulla cupola della moschea di Abu Bakr al-Siddiq da parte degli stessi soldati — tanto è forte il desiderio di supremazia di chi occupa quella terra.

Attualmente, l’esercito israeliano sta concentrando le sue operazioni nel campo profughi di Al-Far’a e nella vicina città di Tammun, nel Nord della Cisgiordania occupata. Anche in questo caso, lo schema è lo stesso: incursioni domiciliari, decine di arresti, strade, abitazioni e scuole rase al suolo dai bulldozer. I residenti non possono fare altro che allontanarsi, e farlo nel minor tempo possibile. A tal proposito, si legge nel rapporto dell’OCHA, i profughi di Tulkarem e di Nour Shams hanno avuto solo tre ore di tempo per raccogliere i propri effetti personali, quelli di una vita intera, prima di assistere alla demolizione definitiva delle loro case.