30 Ottobre 2012

La mia città di rovine (My city of ruins)

Tempo di lettura: 2 minuti

C’è un cerchio rosso sangue 

sulla fredda terra scura
e la pioggia cade.
La porta della chiesa è spalancata
sento il canto dell’organo
ma i fedeli non ci sono più.

 

La mia città di rovine.

 

E le dolci campane della misericordia
si diffondono fra gli alberi della sera,
i ragazzi all’angolo
come foglie disperse,
le finestre sbarrate,
le strade vuote
mentre il mio fratello cade in ginocchio.

 

La mia città di rovine.

 

Avanti, alzati!
Avanti, alzatevi!

 

Ci sono lacrime adesso sul cuscino
dove dormivamo, cara.
Ti sei portata il mio cuore 
quando sei andata via;
senza il tuo dolce bacio
la mia anima è sperduta, amica mia .
Dimmi, come faccio a ricominciare?

 

La mia città è in rovina.

 

E con queste mani,
io prego, Signore. 
Con queste mani,
prego di avere la forza, Signore.
Con queste mani, 
prego di avere la fede, Signore.
Preghiamo per il tuo amore, Signore,
preghiamo per i perduti, Signore, 
preghiamo per questo mondo, Signore,
preghiamo di avere la forza, Signore,
preghiamo di avere la fede, Signore.

 

Bruce Springsteen

Questi versi di Bruce Springsteen vivono in simbiosi con un’armonia, una melodia e un ritmo particolari. Per essere apprezzati pienamente andrebbero letti in lingua originale (qui si utilizza la traduzione dall’inglese di Alessandro Portelli) e soprattutto andrebbero ascoltati nella loro forma compiuta, la canzone: un blues-gospel della durata di cinque minuti. “My city in ruins” – composta alla fine del 2000 con l’intenzione di denunciare lo stato di abbandono e di degrado di Asbury Park, cittadina del New Jersey alla quale il cantautore americano è da sempre molto legato e alla cui rivitalizzazione desiderava contribuire – è diventata dopo l’11 settembre del 2001 la canzone simbolo della speranza di un nuovo inizio, della rinascita, della “risurrezione”. Ed è anche il brano che chiude il disco “The Rising” (titolo che si può tradurre in “La risurrezione”, appunto), pubblicato nel luglio del 2002.

Springsteen, dieci giorni dopo l’attacco alle Twin Towers, durante il concerto per la raccolta di fondi in favore dei familiari delle vittime, la presentò definendola «una preghiera per le nostre sorelle e per i nostri fratelli caduti». Del resto tutto il disco, in modo ancor più intenso rispetto alla precedente produzione dell’artista – che ha sempre raccontato con un realismo schietto, spesso aspro, le strade d’America e la promessa di felicità che nutre i sogni e i desideri dell’uomo comune, continuamente in bilico fra perdizione e attesa –, è segnato dalla preghiera (si pensi a “Into the fire”: «Ci dia forza la tua forza / ci dia fede la tua fede / ci dia speranza la tua speranza / ci dia amore il tuo amore») e dalla speranza («Aspetto, aspetto che / un giorno di sole / caccerà via le nuvole», in “Waitin’ on a sunny day”; «una mattina / ci alzeremo col sole, lo so, / e ci ritroveremo / più avanti / lungo la strada», in “Further on up the road”).

Preghiera e speranza sono forse le parole chiave di questa canzone e di questo disco. Realizzato da un rocker realista, che non ha mai smesso di cantare l’American Dream sapendo che «Is a dream a lie if don’t come true / Un sogno che non si avvera è una menzogna» (“The river”).

Una bella versione di “My city of ruins” si può ascoltare e vedere cliccando qui

 

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