29 Novembre 2012

Voci serali

Tempo di lettura: 2 minuti

Adesso il mondo non è più remoto.
Sta tutto addosso a noi,
tutto pigiato nelle
stanze sgomente delle nostre case.

 

Ma ci sono giù in strada dei bambini
che si gridano «ciao».
Una volta, due volte – mentre l’uno
dall’altro si allontana – tre volte, quattro volte,
senza voltarsi indietro.
E le voci si librano nell’aria
finché l’azzurro della sera è solo
loro esclusiva eco.

 

Cinque volte, sei volte, sette volte.
Forse perché si accordano
ai battiti del tempo, ne scandiscono
la diastole e la sistole.
O forse il loro modo di contare
somiglia un poco al mio
quando conto le sillabe dei versi

 

stoltamente sperando che una grazia celeste
mi rimanga impigliata tra le dita.

 

 

Fernando Bandini

 

Tratta dalla raccolta “Dietro i cancelli e altrove” (Garzanti, 2007), questa lirica di Fernando Bandini (Vicenza, 1931) accosta bambini e poeti, assimila il ritmo giocoso di uno spensierato congedo di fine giornata al ritmo in costruzione nei pensieri di un maturo scrittore al lavoro. 

Il ripetuto «ciao» dei bambini riposa nella certezza di un nuovo incontro per l’indomani: si salutano senza nemmeno guardarsi, perché sanno che il mondo continua ad esserci – dietro davanti intorno – e che esso non è una loro immaginazione: si ritroveranno, nel mondo, il giorno dopo, e il loro non «voltarsi indietro» nell’«azzurro della sera» è agli antipodi della stoica postura sostenuta dagli «uomini che non si voltano» nella montaliana «aria di vetro» di “Forse un mattino” (Forse un mattino andando in un’aria di vetro,/ arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:/ il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro/ di me, con un terrore di ubriaco.// Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto/ alberi case colli per l’inganno consueto./ Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto/ tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto).

A Bandini il lieto reiterato salutarsi dei ragazzini suggerisce una speranza, e l’avverbio «stoltamente» richiama di nuovo Montale, stavolta quello di “Prima del viaggio”: «Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo».
Forse la speranza non detta è che quei bambini ritornino, la sera successiva e in altre sere. Chissà che non facciano ancora presagire l’imprevisto di una «grazia celeste» che si impigli «fra le dita» e nella vita del poeta. E nella vita degli uomini che, voltandosi, li vedranno salutarsi e darsi, senza nemmeno dirselo, un appuntamento per domani.

 

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