7 Maggio 2024

Le bombe cadono su Rafah e sulla proposta di Hamas

Nel giorno in cui Hamas accetta la proposta di pace egiziana, Tel Aviv avvia la campagna di Rafah. Per affossare le possibilità di un cessate il fuoco
Le bombe cadono su Rafah e sulla proposta di Hamas
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Nel giorno in cui Hamas accetta il piano di pace egiziano, Israele avvia la campagna di Rafah. È palese che la mossa serve ad affossare gli spiragli di pace aperti dallo sviluppo positivo. Così le bombe israeliane cadono con più continuità su Rafah, peraltro già presa di mira nei giorni scorsi. E l’IDF prende il controllo del valico di Rafah, l’ultimo cordone ombelicale che legava un milione e duecentomila palestinesi alle agenzie internazionali preposte agli aiuti, che al momento sono stati tagliati.

Bombe su Rafah e sulla Casa Bianca

Per una bizzarra eterogenesi dei fini, le bombe israeliane cadono anche sulla Casa Bianca che gliele fornisce, dal momento che Biden ha ripetutamente messo in guardia Tel Aviv a non compiere tale passo.

La risoluzione di Netanyahu disvela l’impotenza dell’imperatore, che paga le troppe, tragiche, ambiguità in cui si è barcamenato finora, tanto che la storia lo giudicherà come complice del “genocidio” che si sta consumando a Gaza.

Prendiamo in prestito tale terrificante parola, che pure va usata, dal comunicato ufficiale dell’Arabia Saudita, che ieri ha lanciato un appello “alla comunità internazionale affinché intervenga tempestivamente per fermare le operazioni genocide portate avanti dalle forze di occupazione contro civili indifesi”.

Ministry of Foreign Affairs Expresses Kingdom's Warning against Israeli Occupation Forces Targeting Rafah as Part of its Bloody Systematic Campaign to Storm All Areas of Gaza Strip and Displace its Residents

Parole che stridono con le prospettive geopolitiche sulle quali si è spesa l’amministrazione Usa, con Tony Blinken – il peggior Segretario di Stato della storia statunitense – che, più che adoperarsi per fermare il massacro, lo ha utilizzato per cercare di far rientrare Riad nella sfera di influenza americana, stornandola dalla strada intrapresa di recente che l’aveva portata più vicina a Russia, Cina e Iran.

E lo ha fatto legando in maniera indissolubile (quanto maniacale) l’exit strategy dal conflitto di Gaza a una distensione tra il Regno saudita e Israele nel quadro degli accordi di Abraham, affondando in tal modo altre vie per la pace, che pure potevano essere perseguite con maggior efficacia, ad esempio coinvolgendo Russia e Cina.

L’attacco a Rafah è uno schiaffo pubblico a Biden e, secondo Axios, potrebbe portare a una rottura con il partito democratico al potere negli States. Ma al momento è dubbio che gli Stati Uniti possano decidersi a varare misure costrittive per riportare Netanyahu e soci alla ragione.

La variante egiziana della proposta israeliana

Quanto alla leadership israeliana, è rimasta “sorpresa” dall’accettazione di Hamas della proposta egiziana. Lo scrive Amos Harel su Hareetz, che dettaglia: “L’Egitto e gli Stati Uniti potrebbero aver raggiunto un’intesa alle spalle di Israele per aggiornare la proposta egiziana accettata da Israele due settimane fa […] sembra che i mediatori abbiano adempiuto fedelmente ai loro compiti. Hanno offerto ad Hamas una proposta che Israele aveva già accettato, apportando piccole modifiche“.

Netanyahu, Trapped by Hamas' 'Yes,' Is Driving a Wedge Between Israel and the U.S.

Dal momento che si tratta di modifiche minimali a una profferta israeliana, per Tel Aviv è più arduo rigettarla. Così, prima ancora di esaminarla, Netanyahu ha deciso di alzare un’impenetrabile barriera ostativa e di inviare truppe a Rafah, nel tentativo di sabotare l’accordo (nonostante continui a ripetere che chi lo accusa di ostacolarlo mente). Infatti, Hamas ha detto più volte che un’eventuale campagna a Rafah farebbe collassare i negoziati.

A dettagliare come Netanyahu abbia ostacolato le recenti trattative, Yossi Verter, sempre su Haaretz: “Netanyahu rifugge un accordo sugli ostaggi. Più si avvicina, più si affretta a eluderlo. Almeno due volte negli ultimi mesi ha sabotato i delicati passi verso un accordo, sia attraverso dichiarazioni pubbliche o messaggi segreti, sia frenando il mandato della squadra negoziale. Stavolta non è stato diverso”.

Netanyahu Hoped Hamas Would Reject the Cease-fire Offer. When It Didn't, He Turned to Sabotage

Infatti, ha ricordato le recenti dichiarazioni di Netanyahu, rilasciate quando si era diffusa la voce che Hamas aveva accolto positivamente la proposta egiziana. Nel clima di dilagante ottimismo, Netanyahu si è affrettato a dire che la campagna di Rafah era irrevocabile e, successivamente, che non avrebbe accettato un accordo sul cessate il fuoco.

“Qual era lo scopo di queste dichiarazioni – si chiede Verter – rilasciate prima ancora che Hamas avesse risposto alla proposta, se non quello di contrastarla e sabotarla?” D’altronde, è opinione comune che Netanyahu rifugge la pace, che comprometterebbe la sua vittoria e porrebbe fine alla sua vita politica.

Netanyahu non balla da solo

Ma pensare che Netanyahu possa sfidare impunemente il mondo solo in forza dei partiti ultraortodossi che lo sostengono è ingenuo. Basta leggere l’editoriale odierno del Jerusalem Post – media di establishment non consegnato alle fumisterie degli ultraortodossi – che sostiene con veemenza la campagna su Rafah, necessaria a eliminare la minaccia di Hamas e “ad alleviare le sofferenze umane, facilitare l’arrivo di aiuti e alimentare speranza per un futuro migliore per tutti i residenti di Gaza” (sic).

Rafah: Act now or suffer the consequences - editorial

Se Netanyahu è ancora in sella è grazie al sostegno di ambiti influenti (americani, israeliani e arabi) che sperano di lucrare dalla situazione, sia in termini geopolitici che economici. A tale riguardo, colpisce che il 3 maggio, mentre incombeva la campagna di Rafah, l’Ufficio del primo ministro israeliano abbia reso pubblico un progetto fantasmagorico: “Gaza 2035”, anch’esso pubblicizzato con enfasi dal Jerusalem Post.

La nuova Gaza, che sarà edificata in soli dieci anni, sarà splendida splendente, con i palestinesi protetti per almeno dieci anni all’interno di “zone sicure” (leggi riserve), la ricostruzione affidata ai Paesi arabi e la sicurezza a Israele, in attesa che, passati questi anni di decantazione e de-radicalizzazione (e se tutto va bene), i palestinesi possano anche amministrarsi da soli (lasciamo ai lettori se crederci o meno).

Colpisce, tra le altre cose, che il progetto preveda la creazione di un ambito di libero scambio tra Gaza  El-Arish (città egiziana) e Sderot (città israeliana), in grado di trasformare l’area in una zona “produttiva a bassa costo” tanto da far concorrenza alla Cina (la domanda sorge spontanea: grazie ai bassi salari destinati ai palestinesi?).

Ma, soprattutto, che a favorire la rinascita della Striscia saranno “i giacimenti di gas appena scoperti poco a nord di Gaza”… Progetto futuristico inattuabile, in tempi così brevi, ma che la dice lunga sugli interessi in gioco. Infatti, sono tante le variabili di questo puzzle, tanti gli interessi, ma soprattutto tanta è la follia che sottende la campagna militare che facendo strame di un intero popolo.

 

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