Trump e il cessate il fuoco Iran-Israele

Mentre scriviamo non sappiamo se il cessate il fuoco proclamato da Trump stamane reggerà. In mattinata Israele ha affermato che sarebbe stato violato dall’Iran, con il ministro della Difesa Israel Katz che ha minacciato di rispondere con forza “nel cuore di Teheran”.
Ovviamente, nulla di vero, non tanto per le smentite di Teheran, che pure stanno, quanto perché l’Iran non ha alcun interesse a riprendere le ostilità, dal momento che, avendo dato una straordinaria prova resilienza anche di fronte alle minacce americane, ha vinto la partita.
Visto che ciò è chiaro a tutto il mondo, il partito della guerra israelo-americano tenterà di mandarlo all’aria, giovandosi anche della disinformazione mediatica, sulla quale possono contare grazie ai loro fidati corifei.
Di bombe e cortine fumogene
Tanto che Trump, dopo le dichiarazioni di Katz, e avendo contezza che l’Iran non ha violato un bel nulla (l’intelligence Usa ha le sue informazioni), ha subito scritto su Truth social: “Israele, non infrangere il cessate il fuoco. Se lo fate è una violazione grave. Riportate a casa i vostri piloti, subito!” Tutto in maiuscolo…
E, poco dopo: “Israele non attaccherà l’Iran. Tutti gli aerei torneranno a casa e faranno un saluto amichevole all’Iran. Nessuno sarà ferito, il cessate il fuoco è in vigore! Grazie per l’attenzione!” Evidentemente l’attacco era stato ordinato e qualcuno da oltreoceano, se non lo stesso Trump, ha chiamato per far ritirare l’ordine.
Così, in questa trepida attesa, si può cercare di capire cosa è successo davvero in questi giorni, ora che, almeno per il momento, la nebbia di guerra si è diradata. Ieri avevamo scritto che Trump probabilmente si è deciso a intervenire per evitare che Tel Aviv usasse l’atomica.
Inutile ripetere quanto scritto nella nota pregressa, alla quale rimandiamo, alla quale si può aggiungere che è più che probabile che l’Iran fosse stato avvertito in precedenza dell’attacco americano ai suoi siti nucleari (i canali di comunicazione indiretta sottotraccia abbondano, sia nella regione che altrove, vedi Russia). Ciò spiega anche perché le bombe Usa non hanno ferito nemmeno una gallina.
Le dichiarazioni roboanti e fuori registro di Trump servivano da cortina fumogena, per far credere a Israele e a liberal e neocon Usa che faceva sul serio, che stava dalla loro parte, che avrebbe risolto lui il problema senza che Israele facesse ricorso all’atomica.
Un teatro che si è giovato del supporto degli alleati di Teheran, che non solo hanno permesso le comunicazioni Usa-Iran (peraltro, Witkoff e Aragchi si erano visti in Oman il 15 giugno ed erano rimasti in comunicazione anche successivamente), ma hanno dato all’Iran un supporto concreto.
Tra le altre cose, Mosca ha fatto parlare Medvedev, usato per lanciare avvertimenti fuori registro, che ha detto chiaramente a Tel Aviv che qualche Stato potrebbe fornire l’atomica all’Iran.
La Russia ha avuto un ruolo, eccome in questa de-escalation, non per nulla l’annuncio del cessate il fuoco è arrivato mentre il ministro degli Esteri iraniano Araghchi si trovava a Mosca. Bizzarro, in tal senso, l’accenno desueto di Putin a Israele come a un “Paese russofono”…
Infine, qualcuno, in Israele, non si sa chi, ma di certo importante (IDF?), ha assecondato tale linea. Lo denota il post di Trump che recita: “Israele e l’Iran sono venuti da me, quasi simultaneamente, e mi hanno detto: ‘PACE!’. Sapevo che era ORA. Il mondo e il Medio Oriente sono i veri VINCITORI!”.
L’attacco ad Ashdod e quello alla prigione di Evin
Va ricordato che da giorni i media israeliani insistevano sul fatto che le operazioni contro l’Iran erano in scadenza, messaggio alla fine recapitato all’America (Reuters). D’altronde, senza il supporto pieno degli States, Tel Aviv non poteva reggere una guerra prolungata.
A livello militare l’attacco iraniano più significativo – oltre a quello dimostrativo nei pressi della centrale nucleare di Dimona, come deterrente all’atomica israeliana – è stato quello compiuto ieri contro la centrale elettrica di Ashdod, teso a segnalare che Teheran poteva devastare il porto.
Abbiamo accennato in altre note come Israele dipenda per la sua sopravvivenza da tre porti: Eliat, chiuso a seguito del blocco Houti; Haifa, colpito ripetutamente ma evitandone la devastazione; e Ashdod. L’attacco ad Ashdod, il primo dall’inizio delle ostilità, era quindi un avvertimento serio, molto serio.
Israele era consapevole di questa e altre vulnerabilità, da qui la limitazione evidente del suo potenziale distruttivo, anche se di danni ne ha fatti, eccome; molti dei quali, al solito, fuori registro.
Tra questi, lo sbandierato attacco alla prigione di Evin, destinata anche ai detenuti politici, carcere identificato da Israele, e quindi dai media di mezzo mondo, come il simbolo della repressione (gli orrori delle carceri dei cosiddetti Paesi canaglia sono ormai un topos, ricordiamo ad esempio l’esilarante messinscena della CNN sulle carceri siriane, che oggi, sotto la guida di al Qaeda, saranno hotel a cinque stelle).
Coincidenza vuole che alcune attiviste politiche detenute a Evin avevano appena pubblicato una lettera aperta contro Israele, accusato di perpetrare un genocidio a Gaza, nella quale si deprecava anche l’attacco contro Teheran…
Al di là del particolare, è di pubblico dominio che il bombardamento di Teheran alla base americana del Qatar, in risposta all’attacco dei suoi siti nucleari, era concordato con gli Usa. Trump ha addirittura ringraziato Teheran dell’avviso perché ha risparmiato vite.
Si è ripetuto quel che accadde dopo l’omicidio del generale Soleimani, quando l’Iran, costretto a reagire, avvisò gli Usa dell’attacco in arrivo contro una sua base. Peraltro, si sapeva da giorni che la base del Qatar era stata evacuata degli aerei militari (France 24). Tutto predisposto e probabilmente da tempo.
Ora il partito della guerra cercherà di far saltare il cessate il fuoco. Ci hanno provato oggi e senza l’intervento tempestivo di Trump sarebbero riusciti. Tante le possibilità in tal senso, disinformazione, false flag, attentati attribuiti all’Iran…
A proposito di attentati, ieri la strage nella Chiesa di rito greco ortodosso di Mar Elias di Damasco durante una celebrazione liturgica, che ha ucciso 22 fedeli e ne ha feriti più di 60. Attentato griffato Isis. Non sfugge la tempistica che vede come il sangue sia stato versato a Damasco mentre il ministro degli Esteri iraniano si trovava a Mosca, diventata punto di riferimento delle Chiese ortodosse del Medio oriente.
Quanto al genocidio di Gaza, c’è chi sostiene che, dopo la tregua Iran-Israele, possano riprendere i colloqui sul cessate il fuoco. Speriamo, intanto la mattanza continua: stanotte altri 43 palestinesi uccisi, di cui venti presso i cosiddetti centri di assistenza…
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