Canada, Panama, Groenlandia: le mire di Trump e la storia

L’intemerata di Trump su Groenlandia, Panama e Canada ha dato un primo esito. “La Groenlandia attende con ansia di discutere con gli Stati Uniti le possibilità di cooperazione commerciale, lo sviluppo del settore minerario della Groenlandia, compresi i minerali critici e altre aree rilevanti”, ha comunicato il governo groenlandese, formato da forze che da tempo sostengono l’indipendenza dalla Danimarca, maggioritarie nell’isola artica.
Peraltro, nel 2009 è stato stabilito, in accordo con Copenaghen, che la possibile indipendenza dell’isola sia soggetta a referendum. Non è improbabile che, con Trump alla Casa Bianca, ciò che appariva orizzonte impossibile diventi possibile. Uno sviluppo provvidenziale per l’America, che aprirebbe alle sue imprese nuove opportunità senza eccessivi traumi, anche se certo la cannibalizzazione di un Paese alleato, e della Nato, non sarebbe priva di strascichi.
Trump porterebbe così a compimento un segreto sogno americano, dal momento che Washington da oltre un secolo spera di mettere le mani sull’isola, con l’ultimo tentativo esperito dopo la Seconda guerra mondiale, quando si offrì di comprarla dalla Danimarca.
Come gli Usa crearono Panama
Se l’avance di Trump ha un terreno fertile rispetto alla Groenlandia, nei modi e nelle forme con cui prenderà forma il controllo delle sue risorse e altro, è ancora da vedere se e come si svilupperanno le sue mire sul canale di Panama e sul Canada.
In attesa, è utile ripercorrere un po’ di storia, che aiuta a inquadrare il contesto attuale. Anzitutto su Panama e sul suo canale, riguardo al quale Trump ha ricordato l’impegno finanziario e umano che costò agli Usa la sua realizzazione. Lamentele vere, quelle del presidente Usa, ma va pure ricordato il contesto all’interno del quale fu possibile costruire il canale.
Una storia poco nota, che racconta Ted Snider sul sito Libertarian Institute: “Quando Theodore Roosevelt iniziò i lavori per il Canale di Panama, il paese di Panama non esisteva ancora. Panama era una provincia della Colombia e il governo colombiano si stava dimostrando un ostacolo a motivo della sua riluttanza a cedere la propria sovranità sulla zona del canale”.
“Quindi, Roosevelt creò un piccolo gruppo di rivoluzionari che, senza la necessità di vincere una rivoluzione, dichiararono semplicemente Panama un paese indipendente. Nel volume Overthrow, Stephen Kinzer racconta che quando un comandante dell’esercito colombiano chiese un treno per portare le sue truppe a Panama, gli Stati Uniti, avvertirono del suo viaggio tramite un telegramma, e lui e i suoi uomini furono arrestati appena arrivati”.
“Il giorno dopo, gli USA riconobbero Panama come nazione indipendente e inviarono una flotta di navi da guerra per proteggere il nuovo alleato. I lavori del Canale di Panama potevano iniziare”…
Il piano segreto per invadere il Canada
Ancora meno note le pregresse mire degli Stati Uniti nei confronti del Canada, rilanciate in mondovisione da Trump, e in maniera più pacifica del precedente storico. Ne scrive su Global Research Michel Chossudovsky, professore emerito di economia presso l’Università di Ottawa e fondatore e direttore del Centre for Research on Globalization di Montreal, in un articolo che riporta documenti de-secretati negli scorsi anni.
Il primo tentativo di annettere manu militari il Canada da parte di Washington fu messo nero su bianco nel 1866 con l’Annexation Bill, che prevedeva di prendere il controllo di quei territori che, divisi in vari Stati, sarebbero entrati far parte degli Stati Uniti d’America.
La spinta espansionistica venne meno quando, nel 1867, Londra emanò l’Enactment of the British North America Act, che nel luglio dello stesso anno portò alla creazione del Dominion of Canada Confederation. A quel punto si trattava di dichiarare guerra alla Gran Bretagna, cosa che Washington evitò.
La spinta, però, riemerse verso la fine degli anni ’20, quando “Washington formulò un piano dettagliato per invadere il Canada, intitolato Joint Army and Navy Basic War Plan — Red. Il piano fu approvato dal Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti sotto la presidenza di Herbert Hoover nel 1930. Fu aggiornato nel 1934 e nel 1935 durante la presidenza di Franklin D. Roosevelt. E fu ritirato nel 1939 a causa dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale”.
Il piano prevedeva “il bombardamento strategico di Halifax, Montreal e Quebec City tramite ‘operazioni aeree rapide su scala quanto più ampia possibile’”. Al piano lavorò anche il generale Douglas MacArthur, passato alla storia per la guerra in Corea, che nel ’30 fu nominato Capo di Stato Maggiore dell’U.S. Army. Fu lui a proporre “un emendamento che rendeva Vancouver un obiettivo prioritario [per i bombardamenti] paragonabile ad Halifax e Montreal”.
La capitolazione del Canada
Il piano non rimase solo sulla carta. Nel ’35 il Congresso stanziò oltre 50 milioni di dollari per costruire 3 basi aeree ai confini del Canada “allo scopo di effettuare attacchi a sorpresa preventivi sugli aeroporti canadesi. La base nella regione dei Grandi Laghi doveva essere camuffata da aeroporto civile e doveva ‘essere in grado di dominare il cuore industriale del Canada, la penisola dell’Ontario'”.
Nello stesso anno, l’esercito statunitense effettuò un’esercitazione massiva ai confini del Canada, che ne simulava l’invasione, alla quale presero parte oltre 50mila soldati.
Nel frattempo, e precisamente nel 1934, il War Plan Red era stato “modificato per autorizzare l’uso immediato di gas velenosi contro i canadesi e i bombardamenti strategici per distruggere Halifax se non fosse stato possibile catturarla”.
Come accennato, l’inizio della Seconda guerra mondiale fece stornare l’attenzione degli Stati Uniti dal Paese confinante, seppellendo per lungo tempo la spinta espansionista. Nondimeno, secondo Chossudovsky, quelle pressioni ebbero una loro efficacia.
Infatti, coscienti delle mire Usa, il Canada tentò di predisporre qualche piano difensivo per far fronte all’eventualità di un’invasione statunitense, che si concretizzò nel Defence Scheme N° 1. Ma il piano fu abbandonato “nel 1931 dal Capo di stato maggiore canadese, generale A.G.L. McNaughton […] con la motivazione che ‘gli americani avrebbero inevitabilmente vinto una guerra del genere’ e quindi non aveva alcun senso predisporre un piano di emergenza”.
Fu il Primo ministro R.B. Bennett, entrato in carica nell’agosto del 1930, a decidere di abbandonare l’idea di provvedere a un piano per la difesa della nazione. “Questa decisione costituì un riconoscimento di fatto dell’egemonia statunitense nel Nord America”, scrive Chossudovsky.
“Sebbene l’invasione del Canada ai sensi del Joint Army and Navy Basic War Plan — Red non sia stata portata a termine”, prosegue Chossudovsky, la minaccia di un piano di invasione statunitense ha contribuito a costringere il Canada ad arrendersi definitivamente alle pressioni politiche ed economiche degli Stati Uniti”.
Ne discende che è molto probabile gli Stati Uniti ottengano, in tutto o in parte, quel che chiede Trump, se non nella forma, nella sostanza, senza che sia necessario lo sfoggio muscolare.