26 Luglio 2021

Cina-Usa: la crisi del '58 e la visita del vice di Blinken a Pechino

Cina-Usa: la crisi del '58 e la visita del vice di Blinken a Pechino
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Dwight D. Eisenhower, presidente degli USA dal 1953 al 1961

Le tensioni Usa-Cina su Taiwan preoccupano tanti ambiti, anche influenti. Da qui  la pubblicazione, nel maggio scorso, da parte del New York Times di documenti segreti sulla crisi dello stretto di Formosa (come si chiamava allora Taiwan), rivelato da Daniel Ellsber, noto ex analista militare e fonte dei Pentagon Papers, scandalo del 1971 che svelò inquietanti retroscena della guerra del Vietnam.

Il report del Nyt si riferisce alla crisi del ’58, successiva alla guerra di Corea (terminata cinque anni prima), quando scoppiò un conflitto tra la Cina, guidata da Mao Zedong, e Formosa, retta dalle forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, che interessò alcune isole dello Stretto di Formosa, controllate dai nazionalisti.

I generali e il presidente

Il dossier Ellsberg rivela le inquietanti pressioni che la leadership militare degli Stati Uniti, che schierarono proprie forze a presidio di Formosa, esercitò sull’allora presidente Dwight Eisenhower perché autorizzasse attacchi nucleari sulla Repubblica Popolare Cinese.

Pressioni esercitate pur mettendo in conto una reazione “atomica” dell’Urss, che secondo i generali avrebbe difeso Pechino. Una prospettiva sbagliata, secondo il Nyt, date le discrasie emergenti tra le due potenze comuniste, che l’anti-comunismo considerava un monolite.

E però è significativo che la prospettiva di una reazione dell’Urss non frenasse i generali Usa, indice della follia cui erano consegnati.

Ellsberg, spiega il quotidiano della Grande Mela, avrebbe fotocopiato le carte riservate sulla crisi del ’58 insieme a quelle relative alla guerra del Vietnam, tenendole nascoste finora e decidendo di renderle pubbliche solo adesso, a causa delle nuove pericolose tensioni Usa-Cina.

Così il Nyt racconta il contenuto delle carte: “Anche se si immaginava, a grandi linee, che gli Stati Uniti avevano preso in considerazione l’utilizzo di armi atomiche contro la Cina nel caso in cui la crisi fosse degenerata, le pagine del dossier pubblicato da Ellsberg rivelano nuovi e sconcertanti dettagli su quanto fossero aggressivi i capi militari nel fare pressioni per ottenere l’autorità di intervenire con le armi nucleari se le forze comuniste, che avevano già iniziato ad attaccare le cosiddette isole offshore [che si trovavano nello Stretto ndr], avessero intensificato i loro attacchi”. 

“Nuclearizzare” la Cina

I documenti mostrano che la possibilità dell’utilizzo di armi nucleari è stata più reale di quanto si pensasse finora. In particolare, il dossier descrive nel dettaglio le intenzioni del generale Laurence S. Kuter, massimo comandante delle forze aeree per il Pacifico, che tentò di ottenere un mandato per lanciare un attacco nucleare sulla Cina continentale.

Si sarebbe dovuto iniziare mirando alle basi aeree cinesi, salvaguardando così i civili. Sulla stessa linea il generale Nathan F. Twining, per il quale, da quanto emerge dal dossier, se i bombardamenti nucleari mirati non avessero convinto la Cina ad interrompere le operazioni belliche, si sarebbe dovuto colpire in profondità il territorio cinese, arrivando fino al nord di Shanghai. Twining non mostra nessuna esitazione: “Per difendere le isole […] si devono accettare le conseguenze”… 

Dopo la guerra di Corea gli Stati Uniti non erano pronti ad affrontare un altro logorante conflitto, da questa consapevolezza la pressione per utilizzare le armi nucleari: efficienti e risolutive.

Il presidente Eisenhower si oppose fermamente ai generali, decidendo di affidarsi alle sole armi “convenzionali”. Come riporta The Grey Zone, nelle sue memorie Eisenhower ha ricordato con una certa amarezza come, durante quella crisi, fosse “continuamente pressato – quasi perseguitato – da Chiang [Chiang Kai-shek] da una parte e dai nostri stessi militari dall’altra, che chiedevano fosse delegata loro l’autorità di autorizzare un’azione immediata”, non solo nel caso di un attacco all’isola di Formosa, ma anche nell’ambito degli scontri riguardanti le isole dello Stretto.

Si registrò, dunque, un conflitto al vertice del potere Usa, con i generali che tentarono di avocare a sé prerogative proprie del presidente, scontro che secondo Gray Zone non fu caso isolato, essendosi riproposto più volte nel corso delle guerre americane.

Il monito e la visita

La crisi di Formosa del '58, come scrive il Nyt, rappresenta un monito per il presente e suggerisce che la vera minaccia per la sicurezza nazionale Usa e internazionale non fu tanto la reale politica della Cina comunista, quanto la smania dei più alti funzionari dello Stato Maggiore Usa di iniziare una guerra nucleare contro di essa.

Come peraltro dimostra la storia, che vide il conflitto risolversi in tempi relativamente brevi, mentre l’utilizzo delle bombe atomiche avrebbe gravato sulla storia dell’umanità per secoli.

Un monito per il presente, appunto, che sembra condiviso dall’attuale amministrazione Usa, che pur continuando a brandire lo scontro con la Cina a tutti i livelli, sembra però intenzionata a tenere la criticità sotto controllo.

Lo dimostra anche la visita di questi giorni del Vice-segretario di Stato Wendy Sherman a Pechino,  accompagnata da una nota del Dipartimento di Stato che spiega come il viaggio sia “parte dei continui sforzi degli Stati Uniti per mantenere un dialogo sincero per promuovere gli interessi e i valori degli Stati Uniti e per gestire responsabilmente le relazioni” con la Cina (Reuters).

Visita nella quale Sherman discuterà con i suoi interlocutori dei temi che suscitano le preoccupazioni Usa, ma anche di quelli “nei quali i nostri interessi convergono”.

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