15 Maggio 2020

Coronavirus: la battaglia di Trump e la gioia di Bloomberg

Coronavirus: la battaglia di Trump e la gioia di Bloomberg
Tempo di lettura: 3 minuti

Trump lotta disperatamente per restare in sella, nonostante il coronavirus che agli occhi dei suoi avversari dovrebbe portarlo nella polvere. Essi non contano tanto sulla sua gestione dell’emergenza, in effetti alquanto disastrosa, quanto sul fatto che la crisi raderà al suolo l’economia americana con conseguente sconfitta alle presidenziali di novembre.

Un disastro che Trump sta tentando di evitare forzando sulla riapertura delle imprese, scontrandosi con i democratici, che a loro volta stanno strumentalizzando questa crisi, mettendogli i bastoni tra le ruote in ogni modo (sulla pelle dei cittadini…).

Questa lotta all’ultimo sangue nel cuore dell’Impero spiega le dimensioni della tragedia, che sta assumendo connotati biblici: 85mila morti. Per gli Stati Uniti è la peggiore crisi dalla Seconda guerra mondiale.

CORONAVIRUS. I terribili giorni delle presidenziali

Per Trump non poteva capitare in un momento peggiore (all’opposto, per i suoi avversari non poteva arrivare in un momento migliore): da qui alle presidenziali di novembre è difficile che arrivi un vaccino; e in autunno si sentirà tutto il peso del disastro economico: Trump non avrà tempo per recuperare.

Per difendersi Trump ha intrapreso tre strade, oltre che tentare di trovare rimedi al virus, con sforzi finora frustrati. La prima è la ripartenza di aziende e commerci; la seconda è quella di smascherare il complotto ordito ai suoi danni con il Russiagate; la terza intensificare il contrasto alla Cina.

Sulla riapertura delle imprese trova contrasto nei suoi oppositori democratici, che lo esortano, anche con iniziative ostruzioniste, a proseguire il Lockdown. Per quanto riguarda invece la seconda via i repubblicani stanno tentando di aprire una contro-inchiesta sul Russiagate, portando alla luce le malefatte dei loro avversari.

L’Obamagate?

Stanno emergendo prove sempre più concrete che il Russiagate, risultato del tutto infondato, fu un’inchiesta fortemente politicizzata, uno scandalo creato ad arte manipolando interrogatori e documenti.

Ieri è stato reso pubblico un documento che prova che a ordinare all’Fbi di aprire tale inchiesta sui più fidati collaboratori di Trump fu l’amministrazione Usa precedente, nonostante avesse ormai perso alle urne.

L’amministrazione Trump ha addirittura chiamato l’ex presidente Obama a una testimonianza pubblica, iniziativa che sembra però già svaporata. Da qui a novembre i falchi dell’amministrazione Trump cercheranno altra documentazione similare e potrebbero addirittura far partire contro-inchieste.

Il risultato probabile sarà quello di indebolire Obama, in un momento in cui la sua immagine è al top tra gli elettori democratici. Gettando ombre anche sul futuro dell’ex First Lady Michelle, che evidentemente si vuole lanciare in politica, come dimostra l’uscita di una serie Netflix che la vede protagonista.

Ma a oggi è dubbio che tanta fatica possa premiare alle presidenziali. Se convincerà ancora di più gli elettori di Trump che il loro presidente ha subito torti, e se magari muoverà qualche dubbioso, è difficile che rivelazioni su tali temi possano superare per interesse quello per il pane quotidiano, che a novembre potrebbe scarseggiare.

Il circolo vizioso della propaganda anti-cinese

Resta la Cina, l’ultimo fronte sul quale Trump è impegnato. In effetti la campagna sulle responsabilità di Pechino per la pandemia sta pagando: la maggioranza dei cittadini americani sono propensi a dar credito a tale narrativa (d’altronde è successo con ben altre in passato…).

Così è più che probabile che Trump perseveri su questa via almeno fino a novembre. Una prospettiva che ha innescato un circolo vizioso: più si alimenta tale narrativa più Trump sarà costretto a iniziative anti-cinesi, perché il crimine “deve” essere punito.

Tanto che ieri ha ventilato l’ipotesi di recidere del tutto i legami con Pechino e prima ancora, in sede riservata, aveva ipotizzato di confiscare i soldi investiti da Pechino nel debito pubblico americano (una bomba atomica…).

Un braccio di ferro che sta innescando reazioni in Oriente, dove i vani appelli a coordinare gli sforzi per contrastare il coronavirus stanno lasciando il posto alla rabbia per il “bullismo” americano.

Insomma, il coronavirus, oltre ai morti per virus e ai morti che causerà il disastro economico, ha innescato una nuova Guerra Fredda, come illustra il Global Times, che chiede a Pechino di incrementare in fretta gli arsenali nucleari.

La gioia di Bloomberg

Eppure c’è chi vede il lato positivo di questo caos. In altra nota abbiamo accennato dell’entusiasmo di Soros per il momento rivoluzionario innescato dalla Pandemia. In questa segnaliamo l’entusiasmo di Michael Bloomberg che, pur essendo uscito con le ossa rotte dalla sua candidatura contro Trump, non rinuncia a un ruolo politico, benché negato, avendo creato diversi network di contrasto al coronavirus e alle sue conseguenze, in particolare una rete che unisce circa 400 sindaci Usa.

Network illustrato da Steve Benjamin, coordinatore della sua fallita campagna elettorale, che ha spiegato ad Axios che Bloomberg “direbbe che i suoi momenti più belli sono stati quelli in cui ha dovuto far fronte alle crisi, come quella creata dalla tragedia dell’11 settembre”.

Insomma, la ristretta élite dei multimiliardari sembra entusiasta della pandemia. Contenti loro… Per inciso, 26 plurimiliardari (Bloomberg è il settimo) assommano la ricchezza totale di 3.8 miliardi di persone. Patrimoni che potrebbero essere utili in questi tempi e dei quali al massimo elargiscono briciole.

Mondo
22 Luglio 2024
Ucraina: il realismo di Haass