13 Novembre 2012

Dalla guerra fredda alla guerra perenne

Dalla guerra fredda alla guerra perenne
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«Assieme a molti governi, quello italiano partecipa passivamente a una guerra che nessuno si prende più la briga di spiegare». Così Barbara Spinelli sulla Repubblica del 7 novembre. Nell’articolo, dedicato ai rapporti tra Usa ed Europa, lamenta che il tema della guerra al terrorismo, iniziata all’indomani dell’11 settembre 2001, non è stato oggetto di discussione durante la campagna elettorale presidenziale che ha confermato Barak Obama alla Casa Bianca, come fosse qualcosa di ormai scontato. E purtroppo, quella guerra continua, in forme addirittura più «inquietanti». Così la Spinelli: «La guerra prosegue: ma in maniera subdola, violenta, e illegale. È condotta sulla base di liste di nemici da abbattere (killing list), decise alla Casa Bianca in accordo con speciali centri di smistamento (chiamati disposition matrix), e di un uso di aerei senza piloti — droni — cresciuto a dismisura. È scatenata contro paesi cui non viene dichiarata guerra (Pakistan, Yemen, Somalia, in futuro Mali) e dunque negli Stati Uniti è incostituzionale. Ha già fatto 3.500 morti, secondo stime citate da Mark Danner sul New York Review of Books.
Ma soprattutto è vissuta e proposta come permanente: durerà ancora “almeno un decennio”, hanno confidato fonti della Casa Bianca al giornalista Greg Miller (Washington Post 24/10). Il che vuol dire che siamo a metà strada di una guerra di vent’anni, come minimo. Una guerra calda, non fredda: ma che tiene in vita le alleanze e la supremazia Usa che contraddistinse in Occidente la guerra fredda. È il conflitto armato più lungo nella storia degli Stati Uniti.

La nuova guerra combattuta tramite computer (“a controllo remoto”) non diminuisce i terrorismi: li moltiplica. Non apre sul nostro continente un ombrello, ma ci rende più esposti, ridotti a totale insignificanza. Non facilita la convivenza etnico-religiosa, pur sempre incarnata formidabilmente da Obama e suo laico punto di forza. Se l’Europa avesse un governo, e pensieri forti in politica estera, potrebbe staccarsi da tali strategie – forti militarmente, malferme politicamente – che danno all’America l’illusione di un’onnipotenza globale inossidabile, e di una guerra fredda che ricomincia. Sono strategie che ci ingabbiano indefinitamente nell’impotenza. Ci avvicinano all’America: ma rimpicciolendoci, e allontanandoci più che mai da noi stessi».

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