8 Ottobre 2025

Dopo il 7 ottobre, l'8 ottobre e il genocidio dei palestinesi

di Davide Malacaria
Dopo il 7 ottobre, l'8 ottobre e il genocidio dei palestinesi
Tempo di lettura: 4 minuti

“Nel novembre 2023, un giornalista chiese [in modalità provocataria ndr.] a un manifestante di New York che chiedeva giustizia per Gaza: ‘Che pensa del 7 ottobre?’. La  risposta del manifestante ha colto di sorpresa il giornalista: ‘Mi chiede cosa penso del 7 ottobre? E lei che pensa dell’8 ottobre? Che pensa del 9 ottobre? Che pensa del 10 ottobre? Che pensa dell’11 ottobre?…’ (riuscì a costringere il giornalista ad ascoltare fino al 2 novembre)”. Inizia così un articolo di Fuad Zarbiyev, docente di Diritto internazionale presso il Geneva Graduate Institute di Ginevra. Scritto nel 2024, in occasione del primo anniversario del 7 ottobre, e pubblicato sul sito dell’Università svizzera, l’articolo resta di stretta attualità.

“What about October 8? What about October 9? What about October 10? What about October 11?” On the Grievability of Palestinian Lives

“Questa domanda merita davvero di essere posta”, prosegue  Zarbiyev. “La scorsa settimana era l’anniversario delle atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre 2023. Veglie e commemorazioni si sono tenute in tutto il mondo, da Amsterdam, Berlino, Parigi e Roma a Melbourne e Washington e la Torre Eiffel è rimasta al buio per commemorare le vittime degli attacchi di Hamas”.

“Nessuno che abbia veramente a cuore le vite degli innocenti può essere turbato da questa dimostrazione di solidarietà. È vero, come ha sottolineato il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres nella sua  dichiarazione al Consiglio di Sicurezza dell’ottobre 2023, che ‘gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto’ e che ’56 anni di soffocante occupazione’ rappresentano un contesto che è importante ricordare”, ma resta che “nessuna contestualizzazione può giustificare l’uccisione di civili israeliani innocenti o la loro presa in ostaggio”.

E, però, “ciò che è preoccupante è che non abbiamo assistito ad alcuna commemorazione ufficiale nelle capitali occidentali del numero terrificante di vittime delle operazioni militari israeliane a Gaza”.

“[…] È stato illuminato qualche edificio [pubblico] con i colori della bandiera palestinese per commemorare le vittime di Israele a Gaza? Sono state spente le luci della Torre Eiffel? Perché le vite dei palestinesi sono considerate indegne di una qualsiasi commemorazione ufficiale nei paesi occidentali?”.

“La risposta non può essere che Israele, a differenza della Palestina, è una democrazia. Non perché la democrazia israeliana stia alla democrazia come la sedia elettrica sta alla sedia (un paese che pratica sistematicamente la discriminazione razziale e commette torture e abusi sessuali nelle sue prigioni non può essere onorato con l’etichetta di democrazia), ma perché tale risposta è un non sequitur [errore di logica ndr]: lo status di democrazia non autorizza un paese a punire collettivamente gli abitanti di un altro paese, a impegnarsi in massicce uccisioni indiscriminate della popolazione civile, a commettere crimini di guerra e crimini contro l’umanità con intenti genocidi chiariti dalle più alte sfere del governo”.

“La caratterizzazione precipua di un paese che si comporta come Israele è quella di ‘stato canaglia’ (che è esattamente ciò che si  dice che Joe Biden ha detto a Benjamin Netanyahu), un’etichetta che Israele ha fatto di tutto per meritarsi”.

[…] L’unica spiegazione valida è che le vite palestinesi perse non siano importanti come quelle israeliane agli occhi dei leader occidentali. Non è ‘normale’ che 695 civili israeliani e 373 membri delle forze di sicurezza vengano uccisi in un solo giorno; ma non c’è nulla di anormale nel fatto che molti più palestinesi muoiano ogni giorno. Questa ‘normalità’ non è solo opera dei governi, ma anche di giornali, giornalisti e programmi televisivi che svolgono un ruolo cruciale nella ‘distribuzione del sensibile’ presso le società occidentali”.

“[…] Ma come è stato possibile che un simile giudizio sul valore della vita dei palestinesi si sia affermato in società che si vantano di difendere i diritti umani? Come hanno potuto leader politici imbevuti di valori liberali, senza precedenti di crudeltà, mostrare un tale livello di indifferenza per la vita dei palestinesi? La risposta, a mio avviso, è la stessa che darei alla domanda su come i predecessori di questi stessi leader politici, che si consideravano anch’essi gentiluomini, moralmente irreprensibili, abbiano potuto commettere le atrocità proprie della colonizzazione”.

“[…] In breve, mentre gli israeliani sono visti come parte della stessa comunità morale, come ‘la nostra gente’, ‘gente come noi’ (Richard Rorty), i palestinesi non lo sono, rappresentando invece ‘lo strano, lo straniero’ (la stessa logica è stata applicata al trattamento differenziato dei rifugiati ucraini e africani). Avete ragione se pensate che questo vi suoni familiare, perché è familiare: solo il razzismo può giustificare uno stato di cose in cui le vite israeliane sono considerate più preziose e più degne di lutto di quelle palestinesi”.

Spiegazione parziale quella di Zarbiyev, dal momento che è anche, e soprattutto, una questione di potere. Un potere che hanno alcuni circoli ebraici, da non confondersi con la comunità ebraica, parte della quale rigetta il genocidio in corso. Di ieri, ad esempio, un sondaggio del Washington Post sugli ebrei americani, la comunità più filo-israeliana, che ha dato questo esito: “il 61% [degli interpellati] afferma che Israele ha commesso crimini di guerra e circa 4 su 10 affermano che il paese è colpevole di genocidio contro i palestinesi”. Un potere che non hanno affatto i palestinesi…

Many American Jews sharply critical of Israel on Gaza, Post poll finds

Inoltre, in ballo ci sono tanti interessi. Interessi propri dei Paesi occidentali, come anche interessi convergenti con quelli di Israele, anzitutto geopolitici. Lo ha detto pubblicamente il Cancelliere tedesco Friedrich Merz, “Israele sta facendo il lavoro sporco per noi” (cioè per loro); lo ha ribadito, altrettanto pubblicamente, la leader dei Tory Kemi Badenoch, “Israele sta combattendo una guerra per procura per conto del Regno Unito”; altri lo hanno detto e lo dicono in privato.

Ma quanto scrive Zarbiyev concorre a spiegare la mancanza di empatia di tanta leadership europea – politica, culturale ed economica – nei confronti dei palestinesi. Resta che se il 7 ottobre rimarrà nella storia come giorno fatidico per Israele, lo rimarranno anche i giorni successivi, a testimonianza di un genocidio che, consumato da Israele, ha goduto della complicità di tanto potere d’Occidente.

 

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