La pirateria contro la Flottilla e il senso di Netanyahu per la pace

Minacce, pirateria marittima, sequestro di persona, furto (delle imbarcazioni e dei beni, personali e non), e altre fattispecie di reato sono state consumate tra ieri sera e stanotte dall’IDF, e dalle autorità israeliane da cui dipendono, nelle acque internazionali prospicenti Gaza, mentre le autorità dei Paesi dei cittadini contro i quali venivano commessi tali reati si limitavano a chiedere, queruli, ai criminali in questione di non usare violenza.
Tale la follia dilagante nel mondo da quando il Diritto è stato bombardato a Gaza, insieme a una moltitudine di inermi. Non potendo legittimare tale barbarie, i corifei della Hasbara nostrani, interpellati sul tema, hanno tirato in ballo la guerra in corso, che renderebbe giustificabili tali azioni.
Anzitutto quanto accade a Gaza non è una guerra. Una guerra presuppone l’esistenza di due eserciti contrapposti, mentre, come dichiarano esplicitamente le autorità di Tel Aviv, si tratta di un’operazione anti-terrorismo, sebbene condotta con dinamiche di guerra, con tutte le criminali storture del caso.
Resta, però, che il Diritto vale anche in tempo di guerra. A tale scopo sono state stilate le Convenzioni di Ginevra, che Israele può decidere di ignorare, come sta ampiamente dimostrando, ma che non possono permettersi di ignorare i corifei in questione, che vivono in un Paese che tali Convenzioni ha sottoscritto, se vogliono conservare un minimo di autorevolezza.
Peraltro, quanto avvenuto è anzitutto un atto di guerra, ché come tale si configura la violenza esercitata contro cittadini stranieri inermi impegnati in una missione umanitaria, per di più in un’area non appartenente alla sovranità israeliana.
Se è ragionevole, stante la situazione, per i Paesi sfidati non adire a una guerra aperta, resta che una reazione era pur doverosa, come ad esempio quella del presidente colombiano Gustavo Petro, che ha dato il foglio di via alla delegazione israeliana di stanza presso la sua nazione.
Ma, al di là, resta che la Flottilla ha raggiunto il suo scopo, umano prima che politico, che era quello di portare all’attenzione dell’opinione pubblica quanto si sta consumando a Gaza. E le reazioni dei popoli, insieme all’imbarazzo e alla confuzione dei potenti, indicano esattamente questo.
La missione della Flottilla si è conclusa come era prevedibile, ora non resta che attendere la risposta di Hamas al cosiddetto piano di pace di Trump. A stare alle indiscrezioni, la milizia islamica sarebbe propensa ad accoglierlo, com’è ovvio che sia, ma con modifiche, com’è altrettanto ovvio.
Quindi la palla passerà a Israele, con Netanyahu che cercherà di dichiarare che Hamas ha respinto l’offerta di pace e che, quindi, Gaza delenda est. In realtà, il cosiddetto piano di pace di Trump, quello concordato tra Stati Uniti e Paesi arabi, con questi ultimi che hanno interloquito con Hamas, è stato modificato all’ultimo minuto, con inserzioni della parte israeliana apposte appositamente per renderlo inaccettabile alla controparte. Tanto che i Paesi arabi hanno manifestato la loro irritazione per tale indebita ingerenza, fatta per mandare tutto all’aria.
Ma, anche se Hamas accettasse, Netanyahu non si rassegnerebbe a chiudere la sua guerra infinita. Ne scrive su Haaretz Amos Harel: “Nei prossimi giorni, Netanyahu tenterà probabilmente di avviare un lungo negoziato con l’amministrazione [Usa] in merito ai termini dell’accordo, alla sua formulazione definitiva e ai tempi di attuazione. Il fatto che i redattori del piano non abbiano fissato un calendario vincolante per il ritiro dell’IDF potrebbe complicare le cose in futuro”.
“Allo stesso tempo, Netanyahu farà leva sulle obiezioni dei partiti messianici di destra della sua coalizione per diffondere allusioni e dichiarazioni volte a mettere in difficoltà Hamas e a far credere ai leader dell’organizzazione che Israele violerà l’accordo quando se ne presenterà l’occasione. Israele ha già violato il precedente accordo quando ha ripreso la guerra lo scorso marzo. Da allora, Trump non ha rispettato il suo impegno di imporre un accordo, anche dopo che Hamas ha rilasciato il soldato israeliano-americano Edan Alexander”.
“[…] Molte cose potrebbero ancora andare storte, e alcuni stanno già lavorando per far sì che ciò accada. Una rapida analisi del piano di Trump richiama alla mente ciò che disse Ehud Barak, Capo di stato maggiore dell’IDF, a proposito degli Accordi di Oslo: ‘Hanno più buchi di un groviera’ [ma hanno dovuto uccidere Rabin per vanificarli ndr.]. Con tutta la pressione esercitata su Hamas, la cui leadership è divisa tra le residenze a Doha e i tunnel a Gaza, è necessaria una buona dose di ottimismo per credere che l’organizzazione accetterà di rilasciare tutti gli ostaggi e i morti entro 72 ore dalla futura firma basandosi unicamente sulla promessa di Trump di imporre un ritiro graduale dell’esercito israeliano”.
Per parte sua, Netanyahu “spera probabilmente in una risposta negativa da parte di Hamas; a quel punto Israele otterrebbe da Trump il sostegno per un ultimo assalto” a Gaza. La soluzione finale.
Piccolenote è collegato da affinità elettive a InsideOver. Invitiamo i nostri lettori a prenderne visione e, se di gradimento, a sostenerlo tramite abbonamento.