Droni in Europa: arrestate persone senza legami con i russi

L’isteria per droni russi sui siti sensibili dell’Europa monta, insieme alla chiamata alle armi contro Mosca, per ora sono brandita, ma con prospettive fosche per il futuro. Nessuna prova di un collegamento tra i droni minacciosi e la Russia, se non le dichiarazioni degli incendiari leader europei, che brandiscono l’asserita minaccia per alimentare la corsa al riarmo.
Sul punto l’inquietante sviluppo della Romania, il cui parlamento sta approvando una legge per l’acquisizione di 216 carri armati Abramas, una massa di mezzi corazzati che potrebbe essere utilizzata in un futuro conflitto con Mosca, che il riarmo europeo, più che allontanare, approssima.
Sui droni, un articolo di Strana: “Diversi paesi europei hanno arrestato individui che hanno sorvolato gli aeroporti con droni. Le forze dell’ordine non hanno stabilito alcun legame con la Russia. Lo riporta la stampa tedesca. Secondo la Bild, tre cittadini tedeschi sono stati arrestati in Norvegia il 2 ottobre per aver pilotato un drone sopra l’aeroporto di Røssvoll”.
“La polizia ha anche arrestato un cittadino cinese in Norvegia per aver pilotato un drone sopra l’aeroporto di Svolvær […]. Non è stato segnalato alcun coinvolgimento russo nel suo caso. Secondo la Deutsche Welle, il 3 ottobre un pilota amatoriale croato è stato arrestato a Francoforte sul Meno dopo aver tentato di testare un drone civile facendolo volare sopra l’aeroporto”. L’arrestato “non ha legami con la Russia”. Notizie che non hanno trovato il giusto rilievo sulla stampa mainstream perché frenerebbe la pressione anti-russa.
Sul conflitto, la rivelazione dell’ex Cancelliera Angela Merkel, la quale ha dichiarato che nel 2021 voleva rimettere mano agli accordi Minsk per passare a trattative dirette con la Russia, essendosi accorta che erano ormai inefficaci. Ma Polonia e Stati baltici si sono opposti, vanificando il tentativo e aprendo la strada all’invasione russa…
Quanto al conflitto vero e proprio, due sviluppi recenti: la trovata di creare un muro di droni Nato ai confini russi, talmente assurda che è durata l’arco di alcuni giorni, e la possibilità che l’America fornisca a Kiev i missili a lunga gittata Tomahawk.
Un’idea irrealistica secondo Responsible Statecraft: “I missili Tomahawk possono essere lanciati in tre modi: da un cacciatorpediniere lanciamissili; da sottomarini classe Ohio, Virginia e Los Angeles; e utilizzando il nuovo sistema terrestre Typhon, sviluppato dall’esercito statunitense. L’Ucraina non possiede nessuna di queste capacità e ha una probabilità pari a zero di acquisirle nel breve o medio termine”.
“La marina ucraina è piccola e priva di navi da combattimento di superficie, sottomarini d’attacco e personale per gestirli. Con la costruzione di navi e sottomarini statunitensi sotto pressione, è improbabile che Washington prenda in considerazione la vendita di questi navigli all’Ucraina”.
“L’Ucraina potrebbe disporre del personale necessario per gestire il nuovo sistema Typhon basato a terra, ma è altrettanto improbabile che il Pentagono accetti di venderle questo nuovo hardware. Gli Stati Uniti hanno solo due batterie Typhon funzionanti, con una terza in fase di sviluppo. Due di questi sistemi sono destinati all’Asia e uno è destinato a un possibile dispiegamento in Germania”.
“Gli Stati Uniti non hanno accettato di vendere il sistema avanzato a nessun alleato o partner – in parte a causa della scarsità e in parte a causa della sensibilità della tecnologia – ed è difficile immaginare che l’Ucraina sarà la prima. Peraltro, se gli Stati Uniti decidessero di vendere all’Ucraina un sistema Typhon, non sopravvivrebbe a lungo sul campo di battaglia. La batteria Typhon è enorme e difficile da spostare. Richiede un C-17 per il trasporto su lunghe distanze e, sebbene sia trasportabile su strada, le sue dimensioni lo rendono piuttosto facile da individuare tramite satellite o droni. In altre parole, rappresenterebbe un bersaglio appetibile e vulnerabile per gli attacchi aerei russi”.
“Senza un mezzo per lanciare i missili, cedere o vendere Tomahawk all’Ucraina sarebbe inutile. Ma ci sono altri motivi per dubitare che gli Stati Uniti prenderebbero in considerazione l’idea. Innanzitutto, i missili stessi sono scarsi e la loro produzione richiede due anni. Con una scorta totale statunitense stimata in meno di 4.000 missili e dopo averne sprecate diverse centinaia in un’inutile campagna contro gli Houthi nel Mar Rosso, il Pentagono sarà restio a cedere le preziose munizioni, soprattutto nelle quantità necessarie all’Ucraina per ottenere effetti strategici”.
“Ciò è particolarmente vero se si considera il ruolo cruciale che il missile può svolgere in campagne nel Pacifico e il fatto che ne vengono prodotti meno di 200 ogni anno. In secondo luogo, gli Stati Uniti hanno finora venduto il missile solo ad alleati stretti: Australia, Gran Bretagna, Danimarca e Giappone. Nemmeno a Israele è stato finora permesso di acquistare dei missili Tomahawk. Sembra improbabile che gli Stati Uniti siano disposti a condividere l’arma e la sua tecnologia sensibile con gli ucraini, soprattutto con il rischio che il missile o i suoi resti possano cadere in mani russe”.
“Infine, c’è la questione dell’escalation […]. Fornire all’Ucraina missili in grado di colpire in profondità la Russia pone rischi enormi, soprattutto perché richiederebbero l’assistenza dell’intelligence e del targeting statunitense”. Mosca potrebbe ritenerla una minaccia per le proprie infrastrutture nucleari, così che “il potenziale di un’escalation nucleare potrebbe diventare intollerabilmente alto”.
Se si intende esercitare pressioni su Mosca, conclude RS, occorre porre minacce credibili, “sia politicamente che militarmente. La proposta di inviare Tomahawk all’Ucraina non rientra in nessuna dei due casi ed è più probabile che susciti più risate che paura al Cremlino”.
Putin, però, non ha riso. Ha detto che l’eventuale invio dei Tomahawk rappresenterebbe un punto di rottura con gli Usa e che la Russia avrebbe reagito. Non è tanto per la minaccia posta dall’ennesima arma magica, quanto il segnale che verrebbe inviato. Segnalerebbe, infatti, un’inversione di tendenza, con il ritorno della funesta escalation controllata dell’era Biden.
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