15 Maggio 2023

Elezioni. La Turchia al bivio... anche no

Manifesti elettorali in Turchia. Elezioni. La Turchia al bivio... anche no
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Il ballottaggio del 28 maggio deciderà chi sarà il prossimo presidente turco, dopo il turno interlocutorio di ieri, nel quale governo e opposizione si sono spartiti voti e seggi al parlamento.

Elezioni importanti. L’Occidente sostiene l’opposizione, la Millet Alliance (alleanza della nazione), una coalizione di sei partiti guidata da Kemal Kilicdaroglu, nella certezza che riporterà il Paese nell’ovile atlantista.

Infatti, ha fatto il giro del mondo quanto dichiarato da Kilicdaroglu: “Se vinciamo, ricorderemo alla Russia che siamo un membro della Nato”. Un ingaggio di Ankara nella guerra ucraina, prefigurano i circoli iper-atlantisti, sposterebbe tanto. Da cui l’entusiasmo per l’antagonista di Erdogan, giudicato troppo vicino a Putin.

Ritorno all’Occidente, ma non troppo

Mk Bhadrakumar, su Indian Punchline, ed Erman Cete, su The Cradle, pongono alcune criticità a tale lettura. Per Bhadrakumar non ci sarebbe poi una grande differenza tra i due contendenti, essendo entrambi figli del kemalismo, e sono ormai troppo forti i vincoli economici tra Turchia e Russia per poter essere rescissi.

Inoltre, “lo stesso Kilicdaroglu ha recentemente osservato che la politica estera e della Difesa in Turchia ‘sono gestite dallo Stato’ e sono ‘indipendenti dai partiti politici'”. Dove l’accento cade sull’esercito, nel quale risiede il vero potere del Paese. 

Nella nota di Cete si aggiunge: “Kilicdaroglu ha respinto le affermazioni secondo le quali avrebbe dato vita a uno scontro con Mosca. E ha sottolineato che non è sua intenzione inimicarsi la Russia, tanto che ha affermato: ‘Abbracceremo tutti. Non abbiamo niente a che fare con la guerra’” (e Oguz Salici, suo vice nella reggenza del partito repubblicano popolare, ha recentemente ribadito di sperare in “buoni rapporti” con Mosca).

Anche nei confronti dei nemici storici dell’Occidente in Medio oriente, i due cronisti concordano nel riconoscere che i duellanti hanno una visione analoga verso la Siria, con la quale si ripropongono di stabilire rapporti amichevoli (Erdogan ha già fatto passi in tal senso).

Cete riporta anche una dichiarazione ancora più forte di Kilicdaroglu: “Turchia, Iran, Iraq e Siria, perché non ci uniamo? Perché ci guardiamo in modo diverso per affrontare ciò che sta accadendo in Medio Oriente? I problemi possono essere risolti”. E annota come Kilicdaroglu voglia integrare la Turchia nella Via della Seta cinese, lavorando addirittura in combinato disposto con Teheran.

Insomma, sebbene la vittoria di Kilicdaroglu darebbe luogo a un recupero dei rapporti con l’Occidente, ciò non vuol dire un ri-allineamento tout court. Ma è pur vero che la variegata coalizione guidata da Kilicdaroglu rende tale governo più debole, alimentando nei circoli atlantici la speranza di potervi esercitare un’influenza finora negata, come annota Bhadrakumar.

Elezioni: la Fratellanza islamica e il sogno neo-ottomano

Restano diversità non toccate dai due cronisti. Anzitutto il senso di Erdogan per la Fratellanza islamica, della quale si è posto come punto di riferimento per alimentare il suo sogno neo-ottomano.

Sul punto, il kemalista Kilicdaroglu rivendicherebbe la piena laicità della Turchia, ridimensionando il peso della Fratellanza nello Stato e ponendo fine alla pulsione neo-ottomana.

Tale sogno, però, sotto la reggenza di Kilicdaroglu potrebbe vedere solo un ri-orientamento, sotto altra forma e nome, con un ridimensionamento della proiezione turca sul Mediterraneo e forse una rinnovata spinta per incrementare l’influenza turca nei Paesi dello spazio asiatico post-sovietico – il mitico Turkestan, per Ankara – nel quale Erdogan (Azerbaijan a parte) aveva  evitato di profondere eccessivo impegno per evitare frizioni con Cina e Russia.

L’ammonimento rivolto a Pechino dal candidato dell’opposizione a porre fine “all’oppressione” dei “compatrioti” uiguri, tema caro ai falchi anti-cinesi, potrebbe rappresentare un segnale in tal senso (sempre The Cradle).

Ma è ancora tutto in divenire, in attesa del redde rationem del 28 maggio. Nel frattempo, diversi media d’Occidente presentano il voto di ieri come una battuta di arresto per Erdogan.

Bizzarro che solo due giorni fa tale esito veniva dato per scontato, anzi diversi, e autorevoli media, sostenevano che i sondaggi e il ritiro last minute di un candidato alla presidenza potessero addirittura consegnare la vittoria a Kilicdaroglu già al primo turno (New York Times).

In realtà, la sorpresa è la resilienza del presidente uscente, il quale, nonostante i tanti rovesci, tra cui il recente, devastante, terremoto (vedi NYT) e l’ancora più recente, improvvisa, patologia, ha tenuto. Ma vincere sarà un’altra cosa.

 

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