13 Luglio 2019

Il caso Epstein, le difficoltà di Netanyahu e la crisi di Gaza

Il caso Epstein, le difficoltà di Netanyahu e la crisi di Gaza
Tempo di lettura: 3 minuti

Si dimette  Alex Acosta, il ministro del Lavoro Usa bersaglio di accuse relative alla vicenda Epstein, il miliardario arrestato per abuso di minori. Il caso Epstein fa la sua prima vittima, ma sembra ne stia facendo un’altra, stavolta in Israele.

Acosta ha pagato pegno per la precedente disavventura giudiziaria di Epstein, sempre legata ai minori: quando era procuratore della Florida lo condannò a una pena blanda, cinque anni e con la possibilità di recarsi al lavoro.

A nulla sono valse le sue giustificazioni, dato che la reiterazione del reato di Epstein ha reso quella condanna ancor più incomprensibile.

Epstein e le difficoltà di Barak

Ma il caso Epstein rischia di fare un’altra vittima eccellente. Di due giorni fa l’articolo bomba di Haaretz che ha rivelato come nel 2015 il miliardario avrebbe finanziato una società di Ehud Barak.

L’ex primo ministro di Israele era stato tirato in mezzo allo scandalo da un articolo del Washington Post, che aveva pubblicato alcuni dei contatti annotati sull’agenda di Epstein – annotazione che ovviamente è irrilevante ai fini di stabilire una connivenza con l’imputato, è necessario esplicitarlo -, tra cui, appunto, Barak.

Netanyahu ha usato tale scoop per attaccare il suo avversario. Barak si è difeso  dosando maglio e ironia, ricordando al suo antagonista i suoi tanti inciampi giudiziari.

Ma non si aspettava di certo il fuoco amico, ovvero un nuovo e più devastante attacco, stavolta da “sinistra” –  ambito di riferimento di Haaretz – , l’area della quale contava di diventare il playmaker.

Non c’è nulla di illegale a ricevere finanziamenti per un’impresa, anche se certo il fatto che Epstein fosse stato stato condannato per pedofilia da un tribunale della Florida avrebbe dovuto consigliare maggiore prudenza.

Ma al di là degli interna corporis  della vicenda, che non deborda nel penale, resta il fatto che il sogno di Barak rischia di infrangersi prima ancora di iniziare.

Su Piccolenote avevamo dato conto della possibilità di una convergenza tra il nuovo partito di Barak e i partiti della sinistra israeliana, il Labor e Meretz.

Una nota di Timesofisrael spiega che lo scoop di Haaretz mette in dubbio tale sviluppo: alcuni dirigenti di questi partiti, nei quali peraltro Barak non gode consenso unanime, avrebbero iniziato a interrogarsi sull’opportunità di tale alleanza.

La variabile Barak, dunque, è a rischio. Vedremo, l’ex primo ministro è combattente e abile stratega, potrebbe superare la prova.

Il caso Epstein, le difficoltà di Netanyahu e la crisi di Gaza

Netanyahu e Barak, quando ancora erano alleati

Le difficoltà di Netanyahu e Gaza

La criticità legata all’evoluzione della variabile Barak è parte della complessità dello scontro politico israeliano.

Non solo Barak, anche Netanyahu, che si dibatte nelle elezioni più faticose della sua carriera politica, deve guardarsi dal fuoco amico. Secondo Yossi Verter (Haaretz), sia nel suo partito sia nei partiti dell’ultradestra si inizia a immaginare un futuro senza Bibi.

Da qui i colloqui incrociati con il partito centrista Kahol Lavan, guidato da Benny Gantz e Yair Lapid, per un possibile governo di unità nazionale, al quale Gantz ha dato la sua disponibilità (ma senza Bibi).

Sviluppo che, peraltro, pone ulteriore criticità all’avventura di Barak, il quale aveva immaginato di poter guidare alla riscossa la sinistra e diventare figura di riferimento di un governo di centro-sinistra con Kahol Lavan.

Da registrare, inoltre, che, nel campo della destra, Avigdor Liberman, che Netanyahu immaginava di poter schiacciare facilmente bollandolo come traditore – dato che è stato lui a vanificare la sua precedente vittoria e a costringerlo a nuove elezioni – non è affatto finito, anzi.

Einav Schiff, su Yedioth Ahronoth, spiega come la sua campagna per costringere anche gli ultra-ortodossi a sottostare alla leva (obbligatoria per altri) – che è poi una battaglia contro l’eccessiva influenza degli ambiti ultra-ortodossi nella politica israeliana -, stia guadagnando consensi a destra.

Insomma, i due nemici giurati di Netanyahu, Gantz e Liberman, si stanno rafforzando e la sua posizione ne esce indebolita. Ma il premier israeliano non dà segni di cedimento e giovedì ha rilanciato, parlando di una possibile guerra a Gaza.

Sarebbe in preparazione una campagna “che sorprenderà tutti”, ha dichiarato. Un’ipotesi che includerebbe anche “l’invasione di Gaza” (Debka).

Rischi alti. Anche perché, nonostante il recente accordo tra le parti, la tensione a Gaza si sta alzando a causa dell’uccisione “per errore” – come da ammissione dell’esercito israeliano (Timesofisrael) – di un militante di Hamas che cercava di impedire ad alcuni palestinesi di violare il confine israeliano.

 

Nella foto in evidenza, il ministro del Lavoro degli Stati Uniti Alex Acosta