14 Novembre 2025

Trump e la grazia a Netanyahu

di Davide Malacaria
Trump e la grazia a Netanyahu
Tempo di lettura: 4 minuti

La richiesta della grazia per Netanyahu da parte di Trump tiene banco ancor più delle sofferenze dei palestinesi, che i media mainstream sono ben lieti di eludere quando non inevitabile. Visto che di queste ultime ci occupiamo ampiamente, val la pena occuparci anche dell’altro tema, che ha una sua rilevanza e che corre in parallelo con la rivelazioni di alcuni documenti del faccendiere pedofilo Jeffrey Epstein.

Di certo la richiesta di grazia di Trump è del tutto fuori registro e quanti si oppongono a Netanyahu in Israele sono giustamente irritati dell’ingerenza. E scandalo ha suscitato in tanto mondo occidentale perché allevierebbe la pressione sul criminale di guerra che governa Israele, come tale è perseguito dal Tribunale penale internazionale, e altro. Tutto vero, ma…

Quel “ma” lo spiega Carolina Landsmann su Haaretz, che non ha lesinato critiche a Netanyahu e ha documentato il genocidio di Gaza come pochi altri in Israele. Una spiegazione che non piacerà a tanti perché sottesa di un realismo politico che spesso risulta (anche legittimamente) indigesto.

With a Pardon, Trump Is Trying to Lure Netanyahu Into Signing a Peace Deal With Palestinians

“È chiaro cosa sta cercando di fare Donald Trump: sfruttare il potere unico che Benjamin Netanyahu, e solo lui, ha sulla sua base politica per convincerlo a realizzare una visione politica che si identifica con la ‘sinistra’, al centro della quale c’è un’entità politica palestinese in stile Oslo”.

“Trump sta cercando un accordo storico che porti il ​​suo nome, una versione aggiornata dell’Accordo del Secolo. Non sta cantando ‘Imagine’. È piuttosto un megalomane geopolitico che vuole essere più popolare di Gesù e dei Beatles. Per questo ha bisogno di un partner che possa soddisfare ‘il popolo'”.

“Trump è consapevole che la presa di Netanyahu sulla destra è forte in caso di guerra, ma insufficiente in caso di pace. Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich sono alleati in tempo di guerra, ma non in tempo di pace”.

“[…] Dal momento che [Netanyahu] è dotato questo tipo di presa politica e di una base leale che non punisce le sue contraddizioni, Trump capisce che il vero potere di Netanyahu non è ideologico, ma piuttosto la sua presa sul popolo. È l’unico nel sistema politico in grado di guidare i suoi sostenitori da una parte o dall’altra”.

“[…] Miriam Adelson è amica di Naftali Bennett e Bennett è forse più a destra di Netanyahu, ma il ‘popolo’ non seguirà mai ciecamente Bennett. Non è una questione di destra o sinistra. È fisiologia politica, fede viscerale. Quindi Trump sa che l’unica persona che può convincere i sostenitori di Netanyahu a intraprendere un processo diplomatico nello spirito di una soluzione a due Stati è Netanyahu”.

“Ecco perché Trump ha fatto così tanti complimenti a Yair Lapid nel suo discorso alla Knesset. In tempo di guerra, non c’è bisogno di Lapid. In tempo di pace, cosa te ne importa, Bibi, di essere un po’ gentile con lui? Guarda come arrossisce il ragazzo. Netanyahu ha persino riso”.

“Trump sta lanciando un messaggio a entrambi: sarete insieme nella mia squadra per la pace. Capisce che Lapid e il resto della leadership ‘chiunque tranne Bibi’ [l’opposizione ndr.] non possono convincere i propri elettori a un’alleanza con Netanyahu. Basta guardare il cadavere politico di Benny Gantz“.

“E così arriviamo alla grazia. Trump non sta cercando di aiutare un amico in difficoltà. Sta tentando di progettare una riconciliazione funzionale tra i Bibi-isti e i ‘non-Bibi-isti’ – non basata su emozioni o ideologie – per formare un governo senza l’estrema destra che potrebbe promuovere la pace con i palestinesi”.

“Così come ha capito che gli ostaggi non erano più una risorsa per Hamas, ma piuttosto una scusa per Israele per continuare la guerra, ha capito che il processo a Netanyahu non è più solo una risorsa politica dell’opposizione israeliana, ma un peso per l’intero sistema”.

“Non perché una condanna sia imminente o perché il processo stia rubando tempo prezioso a Netanyahu, ma perché il processo ha limitato il suo margine di manovra politica e lo sta consegnando all’estrema destra”.

“[…] Trump sta offrendo il suo appoggio presidenziale e il suo patrocinio internazionale, mediando con l’opposizione e fornendo spunto narrativo per un ‘cambio di direzione’, per aiutare Netanyahu a rompere la sua dipendenza dagli estremisti di destra. La grazia non è un favore personale a Netanyahu, ma il prezzo da pagare per un cambio di rotta diplomatica”.

Fin qui la Landsmann. In un mondo ideale sarebbe auspicabile altro: che i responsabili del genocidio vadano in galera, che nasca la Palestina etc. Nel mondo reale, le opzioni per uscire da questa follia sanguinaria, almeno nel breve, sono poche. Secondo la cronista, l’opzione Trump va in questa direzione, nonostante le tante criticità.

Resta che l’orizzonte della cronista rimane nel circolo ristretto Israele-Usa. Il mondo, per fortuna, è più grande e opzioni alternative sono sul tavolo, anche se con meno possibilità di successo. Va però a merito della Landsmann aver chiarito il perché della mossa di Trump, altimenti spiegata come un semplicistico favore al suo alter ego israeliano.

Da ultimo, registriamo che in questi giorni Trump è stato investito nuovamente del caso Epstein. Saremmo i primi a rallegrarci se la rete del pedofilo venisse indagata seriamente.

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Ma il sospetto, ad oggi, è che la spinta attuale sia limitata al solo Trump, come lo fu in precedenza al solo principe Andrea, quando i democratici che oggi brandiscono il caso lo insabbiarono. E che lo scopo sia solo quello di mettere Trump ulteriormente in un angolo perché non scantoni, come a volte fa, dai binari imposti dall’establishment liberal-neocon che già adesso ne limitano lo spazio di manovra e che vogliono portare a compimento la soluzione finale dei palestinesi, il rilancio della guerra ucraina (fino a sfiorare la guerra globale), la guerra in Venezuela e tanto altro… Partita delicata e complessa, ci torneremo.

 

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