22 Aprile 2022

Gli incendi in Russia, il niet dell'India a Johnson e la distensione Usa-Cina

Gli incendi in Russia, il niet dell'India a Johnson e la distensione Usa-Cina
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In attesa della battaglia del Donbass, Putin ha propagandato la vittoria della Russia nello scontro di Mariupol, con dichiarazione messa in dubbio dalla propaganda opposta che gli obietta la presenza di duemila resistenti ancora asserragliati nelle acciaierie Azovstal.

In realtà, il successo russo in quel ristretto ambito è nei fatti e la disposizione a non infierire sugli assediati, ai quali Putin ha garantito di aver salva la vita se si arrendono, appare un gesto di apertura, ovviamente non accolto ufficialmente, ma che ufficiosamente permetterà ai combattenti stranieri, americani in primis, presenti alle Azovstal di esfiltrare dal teatro di guerra e di evitare problemi per le atrocità commesse, avendo gestito i criminali del battaglione Azov.

Serviva offuscare il successo, per tenere la Russia sotto pressione, da cui i due attentati messi a segno in territorio russo: un grande incendio si è sviluppato nell’Istituto centrale di ricerca delle forze di difesa aerospaziali a Tver, città sita a soli 150 chilometri da Mosca; in parallelo, il fuoco ha divorato l’impianto chimico Dmitrievsky, leader globale nella produzione di solventi. Due azioni di sabotaggio che indicano la penetrazione dei nemici della Russia nel suo territorio.

In parallelo, il suicidio assistito di due oligarchi russi, trovati morti insieme a mogli e figli nel giro di 24 ore. Si tratta di Vladislav Avayev, ex vicepresidente della Gazprombank, e di Sergei Protosenya, ex vicepresidente della società di gas naturale Novatek, crimini consumati rispettivamente a Mosca e a Barcellona i cui moventi che non saranno mai individuati perché messi a segno da intelligence che non ammettono indagini.

Mosca si trova dunque col nemico in casa, situazione che non può rendere pubblica perché renderebbe palese una vulnerabilità, ma che starà sicuramente attenzionando con maggior cura.

Nel frattempo si intensifica il rifornimento di armi a Kiev, cosa che fa dell’Ucraina occidentale nuovamente un obiettivo sensibile, dal momento che i russi, come da avvertimento, cercheranno di intercettarle prima che vengano portate sul fronte orientale. Si spera che siano stoccate lontano dai centri abitati, all’opposto di quanto fatto finora.

In attesa di sviluppi, risulta di grande interesse, per l’attuale fase di questa terza guerra mondiale fatta a pezzi, la visita di Boris Johnson in India, viaggio che nei media era stato presentato come foriero di una svolta di New Delhi in chiave anti-russa, con la quale non ha tagliato le relazioni.

Una svolta che avrebbe contribuito non poco all’isolamento internazionale di Mosca, che l’Occidente sta perseguendo con pervicacia pena il fallimento del regime sanzionatorio.

Riportiamo le parole del primo ministro britannico al termine della visita: “Quello che gli indiani vogliono è la pace e vogliono la Russia fuori [dall’Ucraina]. E sono totalmente d’accordo. E ritengo che ci sia una divergenza di equilibri [tra noi] perché l’India ha una relazione storica con la Russia che tutti capiscono e rispettano e che risale a decenni fa” (Hindustan Times). Insomma, tutto come prima, a dispetto delle attese, solo qualche affare in più per le industrie di Sua Maestà.

Infine, va registrata la conversazione telefonica del ministro della Difesa Usa Lloyd Austin con il suo omologo cinese Wei Fenghe. Un evento importante, dal momento che è la prima volta che il Capo del Pentagono parla con i cinesi dal giorno del suo insediamento.

La telefonata arriva dopo l’esercitazione navale cinese nei pressi di Taiwan, in reazione alla visita incendiaria del senatore Lindsey Graham nell’isola. Al di là delle usuali rassicurazioni reciproche e degli auspici congiunti sulla necessità di migliori rapporti, va segnalato che Austin ha ribadito al suo interlocutore che l’America si attiene al principio “China One” – cioè riconosce la sovranità di Pechino sull’isola -, formula magica che ha assicurato la pace in quell’area fino a questo momento.

Ancora una volta il Pentagono è stato costretto a intervenire per sedare l’incendio innescato dagli apprendisti stregoni di Washington, che stanno cercando di infiammare il mondo.

L’America sta cercando in tutti i modi di allontanare la Cina dalla Russia, tanto che Wei ha detto al suo omologo di smettere di usare il conflitto per “calunniare, bloccare, minacciare e fare pressione sulla Cina (South China morning Post), ma chi sa cos’è la guerra, come Austin, sa bene che non è auspicabile aprire ora una crisi con il celeste impero, dal momento che Washington potrebbe non sostenere l’apertura un nuovo fronte.

Prima di aprire ufficialmente il fronte orientale, gli Usa devono consolidare quello ucraino, cioè rendere l’attuale scontro al calor bianco un fronte di attrito controllato con capacità di logorare le forze russe e incastrare definitivamente, aggiogandola, l’Europa nella guerra, così da poter stornare verso la Cina, il suo vero competitor globale, il proprio focus.

La Cina lo sa perfettamente, per questo non rescinde i rapporti con Mosca e si prepara al confronto. Di ieri l’annuncio dell’imminente varo della terza portaerei cinese.

 

 

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