24 Gennaio 2024

Una guerra senza misura e l’eredità di Hegel

L'orrore "necessario" di Gaza e delle guerre infinite legittimato dalla dialettica hegeliana
di Massimo Borghesi
Una guerra senza misura e l’eredità di Hegel
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Per gentile concessione, pubblichiamo la prima parte dell’intervento del professor Massimo Borghesi che verrà pubblicato nel supplemento al numero 1/2024 della rivista “Città Nuova”, curato da Carlo Cefaloni, dedicato al tema “Pace” (si può  acquistare sul sito di Città Nuova). Nel supplemento i contributi di Mario Zaninelli, Elena Merli, Oleksandra Matvijčuk (Nobel per la pace 2022), Mao Valpiana, Fabrizio Battistelli. 

Una guerra senza misura e l’eredità di Hegel

La tragica deriva del conflitto in Terra Santa ha reso ancora più evidente l’incidenza di una certa visione della vita, e quindi della pace e della guerra, destinata a tradursi concretamente sui mezzi di informazione e di opinione. Sono perciò esemplari in tal senso, e degne di interesse anche nel medio e lungo periodo, le tesi esposte da Giuliano Ferrara, su “Il Foglio”, e da Ernesto Galli Della Loggia sul “Corriere della Sera”.

Entrambi gli autori non sono solo filoisraeliani – lo siamo stati tutti dopo l’orrenda strage del 7 ottobre – ma, e questo è un problema, sono soprattutto filohegeliani. Al pari di Hegel, per il quale il negativo il male la guerra erano il prezzo da pagare per ogni progresso, così anche loro, e non da oggi, sono ogni volta i cantori del fuoco e delle fiamme laddove siano in gioco i “destini dell’Occidente”.

Nel caso di Ferrara questo non sorprende. Proviene pur sempre dalla formazione hegelo-marxista e, nonostante il suo distacco sia avvenuto da lungo tempo, rimane in lui la mentalità “dialettica” per la quale il positivo può sorgere solo attraverso il negativo. Lacrime e sangue vanno messi nel conto e la storia non è appannaggio delle anime belle.

Galli della Loggia da parte sua è un liberale conservatore, erede della scuola hegeliana che ha presidiato alla formazione dello Stato nazionale post-unitario. Tutti e due, Ferrara e Galli, provengono da Hegel e questo si avverte nel loro idealismo “realistico” intriso di guerra. Questo spiega il tono dei loro proclami a fronte di un conflitto, quello odierno di Israele a Gaza, che, al di là del manicheismo semplificatorio, richiederebbe ben altre valutazioni.

Un conflitto che rischia di alienare le simpatie verso Israele, forti dopo il massacro del 7 ottobre operato da Hamas, di gran parte dell’opinione pubblica mondiale e di resuscitare le onde dell’antisemitismo mai veramente sopite in Europa. Al contrario non un cenno di preoccupazione in tal senso troviamo in Ferrara e in Galli.

Nella fiaccolata, organizzata da “Il Foglio” per Israele l’11 ottobre, l’ex direttore del giornale si è fatto banditore del bombardamento e dell’invasione di Gaza senza riflettere se questa fosse o meno la soluzione migliore per Israele.

«Gaza – ha detto Ferrara – è ostaggio di Hamas, bisogna liberare Gaza anche con le bombe, anche con i carri armati, anche con l’esercito, e bisogna restituire tutto quel territorio a una legittima amministrazione dove i predoni non abbiano la minima possibilità di perseguire i loro scopi e i loro fini».

«Dobbiamo sapere che i prossimi giorni saranno tremendi. C’è un diritto emozionale che non si può negare a piangere tutte le vittime, a commuoversi per un territorio con quella densità di abitanti. Avremo agenzie di tutti i tipi che cercheranno di dimostrare che Israele è all’origine di questa spirale di violenza. Abbiamo un solo modo di reagire: non credergli e diffondere in ogni angolo di strada la nostra verità.

Israele è l’unica bandiera della pace nel momento in cui gli ebrei in quanto ebrei vengono perseguitati da predoni che non gridano libertà per la Palestina, gridano Allah Akbar, un grido di fanatismo religioso che va annientato da una forza comminata con una grande violenza e capacità politica. Mi auguro che Israele sia all’altezza delle aspettative di ognuno di noi ne sono sicuro».

L’inno alla «grande violenza» si scontra, naturalmente, con il grido contro la guerra che Papa Francesco ha fatto risuonare da San Pietro, tanto che Lucetta Scaraffia è arrivata a scrivere su L’antisemitismo e il papa ambiguo (“La Stampa”, 7 novembre 2023). Preceduta, nelle sue critiche al Papa, dallo stesso Ferrara nel suo pezzo Papa Francesco e le buone intenzioni dilapidate in un prontuario di parole vane (“Il Foglio”, 1 novembre 2023).

Comunque è nel suo articolo su “Il Foglio” del 29 ottobre, Le piazze per il cessate il fuoco sono le piazze dei guerrafondai, che l’anima “hegeliana” di Ferrara si è espressa in tutta chiarezza. Qui, dopo aver ribadito che l’unica soluzione per eliminare Hamas è quella della occupazione sistematica di Gaza senza tregue o cessate il fuoco, scrive che per accettare questa soluzione

bisogna fare dei passi che fanno orrore alle coscienze brutalmente umanitarie oggi in palchetto, il cui simbolo potrebbe essere Greta Thunberg. È molto facile pensare con compassione al derelitto destino delle popolazioni a Gaza, l’immagine disperante di donne e bambini colpiti dalla reazione bellica di Tsahal, di giovani e uomini e vecchi che vestono abiti civili e in qualche misura sono estranei o anche lontani dalla follia di chi li governa da tanti anni, di chi scava tra loro i cunicoli della morte e della prigionia degli ostaggi razziati, di chi si ripara dietro le scuole, gli ospedali e altri luoghi teoricamente neutrali, secondo il diritto di guerra, per ottenere gli scopi di morte e distruzione che si sa.

Le bombe e i tiri di artiglieria, la guerra urbana che mette tutti in pericolo e si presenta come un teatro di tragedia, tutto questo Not In My Name. Ma il mondo è fatto così, che le cose giuste spesso non sono compassionevoli.

Snidare i killer dell’islamismo politico, colpire i terroristi dove si nascondono e contrattaccano dopo aver fatto quello che hanno fatto a gente inerme, mettere in pericolo centinaia di migliaia di riservisti, il fiore del tuo paese, e la tua economia, il tuo benessere, cercare con tutti i rischi di una campagna sul terreno di risparmiare le vite dei civili e la vita degli ostaggi, per conseguire l’obiettivo della sicurezza e della pace, per costruire il famoso e celebratissimo “mai più”, ecco che questo non può essere fatto In My Name.

Si nasconde la testa sotto la sabbia, ci si inoltra nei tunnel dei predoni, incuranti della vittoria della morte travestita da umanitarismo, si sceglie di gridare in piazza, sapendolo coscientemente o no, “ancora e sempre”. Le piazze per il cessate il fuoco sono le piazze dei guerrafondai.

Sorprende in un uomo di sicura intelligenza, quale Ferrara è, l’incapacità di valutare i rischi che questa guerra comporta. Innanzitutto quello di un ampliamento del conflitto e di una destabilizzazione dell’intero Medio Oriente. E poi la cecità di fronte al trattamento disumano degli abitanti di Gaza privi di tutto e costretti ad un esilio senza meta, ai bombardamenti indiscriminati in cui le vittime sono per la gran parte i civili, la popolazione, i bambini.

Ferrara se la cava, hegelianamente, con la frase: «Ma il mondo è fatto così, che le cose giuste spesso non sono compassionevoli». Non parlerebbe così se tra i profughi o gli abitanti di Gaza vi fossero amici suoi, parenti, familiari. Il fattore umano, che è anche un fattore politico, conta molto invece per il principale alleato di Israele, l’America, che per bocca del suo segretario di Stato Antony Blinken ha detto testualmente qualche giorno fa che: «Molto altro deve essere fatto per proteggere i civili e assicurarsi che vengano raggiunti dall’assistenza umanitaria. Troppi palestinesi sono stai uccisi.

E vogliamo fare tutto il possibile per prevenire che vengano arrecati loro danni e per massimizzare gli aiuti destinati a loro». Blinken ha anche detto che Israele non dovrà rimanere a Gaza e questo contro la volontà espressa del presidente Netanyahu.

Di queste sollecitazioni americane in Ferrara non v’è traccia. Non un giudizio, da parte sua, sul governo Netanyahu primo responsabile, in Israele, del disastro del 7 ottobre. E non solo per aver dirottato la maggior parte delle truppe a difesa degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania lasciando sguarnita la difesa dei kibbutz di fronte a Gaza, e ciò per evidenti interessi elettorali e politici, ma anche per aver favorito la presenza di Hamas a Gaza facilitando il suo finanziamento da parte del Qatar e questo per delegittimare l’Autorità palestinese ed affossare la soluzione dei due popoli, due Stati. Un machiavellismo cinico che, come spesso accade, si è rivolto contro i suoi stessi ideatori.

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