Haaretz: le 100mila vittime di Gaza

“Lunedì di questa settimana, il Ministero della Sanità di Hamas della Striscia di Gaza ha pubblicato un elenco aggiornato delle vittime di guerra: un elenco di 1.227 pagine, ordinato dal più giovane al più anziano. Nel documento, in lingua araba, il nome completo della persona deceduta, i nomi del padre e del nonno, la data di nascita e il numero del documento d’identità”. Così l’incipit di un articolo di Haaretz firmato da Nir Hasson.

Foto Haaretz
“A differenza delle liste precedenti – prosegue Hasson – questo documento indica l’età precisa dei bambini che avevano meno di un anno al momento della morte. Mahmoud al-Maranakh e altri sette bambini morirono lo stesso giorno della nascita. Altri quattro bambini sono stati uccisi il giorno successivo alla nascita, altri cinque hanno vissuto solo due giorni. Solo a pagina 11, dopo 486 nomi, compare il nome del primo bambino che aveva più di sei mesi al momento della morte. I nomi dei minori di 18 anni coprono 381 pagine e sono in totale 17.121. Delle 55.202 vittime, 9.126 erano donne” (per inciso, Miriam Aldossari, su Middle East Eye, verga un j’accuse durissimo contro le tante femministe pronte a criticare il velo iraniano o di altri Paesi arabi e mute sull’eccidio di tante donne innocenti a Gaza).
Oltre a dar conto della triste pubblicazione, Nir Hasson riferisce come molti studi abbiano evidenziato che i dati del Ministero della Sanità di Gaza debbano essere integrati.
A tale proposito cita lo studio pubblicato questa settimana da un team di ricercatori coordinato dal professore Michael Spagat, economista dell’Holloway College dell’Università di Londra, esperto di fama mondiale sulla mortalità dei conflitti.
Uno studio che si è avvalso dell’apporto del politologo palestinese Khalil Shikaki e basato sulle testimonianze di quasi 10.000 palestinesi, la cui conclusione è che a gennaio 2025 a “Gaza erano morte di morte violenta circa 75.200 persone […]. All’epoca, il Ministero della Sanità della Striscia di Gaza stimava il numero delle vittime dall’inizio della guerra a 45.660. In altre parole, i dati del Ministero della Sanità sottostimavano il totale reale di circa il 40%”.
“Risultati molto simili a quelli di uno studio condotto con metodi completamente diversi e pubblicato lo scorso gennaio dai ricercatori della London School of Hygiene and Tropical Medicine. Anche questo gruppo aveva stimato che la discrepanza tra i dati del Ministero della Sanità e le cifre reali era di circa il 40%”.
Sempre in settimana, un ulteriore report sulle vittime di Gaza realizzato da un team guidato da Matthew Ghobrial Cockerill, dottorando in storia alla London School of Economics e realizzato per l’organizzazione Action on Armed Violence.
Il team di Cockerill ha studiato gli elenchi delle vittime pubblicate dal Ministero della Sanità di Gaza scoprendo che su 3mila bambini cancellati da tale funebre lista perché non si era riuscito ad avere prove della loro morte, 1000 in realtà erano stati sicuramente uccisi. Un terzo del totale.
“Lo studio di Spagat e colleghi – continua Hasson – cerca anche, per la prima volta, di rispondere alla domanda sull’eccesso di mortalità nella Striscia. In altre parole, quante persone sono morte per gli effetti indiretti della guerra: fame, freddo, malattie incurabili a causa della distruzione del sistema sanitario e altri fattori”.
Secondo i ricercatori le morti indirette sarebbero minori di quelle stimate da altri colleghi, attestandosi, a fine gennaio, a 8.540. Un dato sul quale ci permettiamo di dubitare (e tanto) ma che i ricercatori spiegano come discendente dal fatto che, prima della guerra, il “sistema sanitario di Gaza era in condizioni relativamente buone, certamente migliori rispetto ad altri zone di conflitto, come alcuni Paesi africani o lo Yemen”.
A favorire tale resilienza anche “la struttura sociale e comunitaria di Gaza. Le reti di sostegno familiare hanno dimostrato la loro efficacia in tempi di fame e privazioni, e a quanto pare hanno salvato molti abitanti di Gaza dalla morte”.
E, però, aggiunge lo studio, tali condizioni valevano in precedenza, mentre negli ultimi mesi, a causa dello sfollamento forzato del 90% della popolazione, del collasso del sistema sanitario, delle restrizioni sull’alimentazione, il numero delle vittime indirette è probabilmente aumentato.
Ma al di là, “anche senza le prevedibili ondate di mortalità in eccesso future”, se si sta allo studio di Spagat, a gennaio scorso “la somma delle vittime causate dalla violenza e di quelle provocate da malattie e fame” fa un totale di 83.740 decessi. “Da allora, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, sono state uccise più di 10.000 persone, un numero che non comprende quanti rientrano nella categoria delle morti in eccesso. Il risultato è che, anche se la guerra non ha ancora superato la soglia dei 100.000 morti, ci siamo molto vicini”.
Altre guerre moderne hanno causato più vittime, spiega Spagat, ma Gaza ha un duplice e non invidiabile primato: “è al primo posto in termini di rapporto tra combattenti e civili uccisi, nonché in termini di tasso di mortalità in rapporto alla popolazione”.
Peraltro, il 56% delle vittime erano minori di 18 anni o donne; un dato che, secondo lo studio, produce un altro triste primato: “la percentuale di donne e bambini uccisi in modo violento a Gaza è più del doppio rispetto a quella di quasi tutti gli altri conflitti recenti”.
“Penso che circa il 4% della popolazione sia stata uccisa”, afferma Spagat, che ha aggiunto: “Non sono sicuro che ci sia un altro caso nel XXI secolo che abbia raggiunto una percentuale così alta”.
Spagat non conclude che il suo studio dimostra che c’è un genocidio in atto, perché si tratta di una materia che deve dirimere la Corte internazionale di Giustizia, anche se ritiene che il Sudafrica abbia avuto fondati motivi per chiedere di avviare tale procedimento.
Su quest’ultimo tema, un articolo di Omer Bartov sul New York Times dal titolo: “Sono un esperto di genocidio. Lo riconosco quando lo vedo”. Impossibile la sintesi perché troppo lungo, riportiamo un passaggio: “Quando un gruppo etnico non ha un posto dove andare e viene costantemente spostato da una cosiddetta zona sicura all’altra, bombardato e affamato senza sosta, la pulizia etnica può trasformarsi in genocidio”.
“È il caso di genocidi ben noti del XX secolo, come quello degli Herero e dei Nama consumato nell’Africa sud-occidentale tedesca, oggi Namibia, iniziato nel 1904; degli armeni durante la Prima guerra mondiale; e, in realtà, perfino dell’Olocausto, che iniziò con il tentativo dei tedeschi di espellere gli ebrei e si concluse con il loro assassinio”.
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