“Mercoledì [il Segretario dell’Onu] Guterres ha affermato che ‘i combattimenti intensi, la mancanza di elettricità, il carburante limitato e le telecomunicazioni interrotte limitano gravemente gli sforzi concertati delle Nazioni Unite per fornire aiuti salvavita alla popolazione di Gaza’”.

“‘I bombardamenti ininterrotti impediscono agli aiuti di raggiungere chi ne ha bisogno’, ha detto giovedì sui social media l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA). Almeno 135 membri del personale dell’UNRWA sono stati uccisi…”. Tutti gli ospedali del nord di Gaza sono stati resi non più operativi, come denuncia l’OMS, e le vittime totali hanno toccato quota 20mila, tanti dei quali sono bambini. Inutile proseguire, non si finirebbe più.

Le aperture di Hamas

Di grande interesse, su un altro livello, le trattative avviate all’interno dell’ambito politico palestinese rivelate dal Wall Street Journal (e riportate da The Cradle), secondo il quale Hamas e l’Autorità palestinese si starebbero confrontando su come governare Gaza e la Cisgiordania alla fine della guerra.

Husam Badran, membro dell’ufficio politico di Hamas sito a Doha, ha affermato che Hamas intende aderire all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che rappresenta i palestinesi presso le Nazioni Unite e altri forum internazionali. E che vuole lavorare insieme alle altre fazioni palestinesi, anzitutto Fatah, per la creazione di uno Stato che comprenda Gaza e la Cisgiordania e abbia per capitale Gerusalemme (richiesta massimalista ovvia, ma è a tema solo una parte della città, come sa anche l’interessato).

Badran ha negato che ciò significa un riconoscimento dello Stato israeliano, decisione che segnerebbe un rivolgimento di 180° per Hamas, ma ha aggiunto che non si può chiedere ad Hamas di prendere tale decisione mentre il suo territorio subisce un’aggressione senza precedenti.

Le dichiarazioni di Badran rivestono grande importanza, dal momento che è alquanto ovvio che la cooperazione con Fatah, che riconosce lo Stato israeliano, è in sé un riconoscimento indiretto dello stesso, peraltro reso concreto dall’intenzione di dare dei confini ben precisi allo Stato palestinese, più o meno quelli accettati dalla comunità internazionale.

Un’intesa tra i due più grandi movimenti palestinesi era già stata raggiunta in passato (2017), ma poi le cose non sono andate come avrebbero dovuto, – nessuno ha dato credito alle aperture di Hamas favorendo tale evoluzione – e l’accordo è saltato.

Le aperture odierne di Hamas, mentre infuria la guerra e il movimento è visto come qualcosa di più o meno diabolico in Israele (e altrove), appaiono semplici parole al vento. C’è un redde rationem in corso e Israele è ancora convinto di poter eliminare il nemico o quantomeno renderlo impotente nei ristretti confini di Gaza.

Ma se gli sviluppi non saranno quelli desiderati da Tel Aviv, se cioè dovesse riconoscere che le sue truppe si sono impantanate o ritenesse eccessivi i costi della guerra, le aperture odierne potrebbero prendere concretezza, aprendo nuove possibilità a possibili negoziati, seppur indiretti e mediati da esponenti palestinesi considerati moderati. Vedremo.