6 Luglio 2014

Il grido di dolore una madre, l'(im)possibile riconciliazione tra israeliani e palestinesi

Il grido di dolore una madre, l'(im)possibile riconciliazione tra israeliani e palestinesi
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Il Corriere della Sera del 5 luglio pubblica uno scritto di Zeruya Shalev, scrittrice e poetessa israeliana, Lettera a mio figlio, soldato che vuole andarsene da Israele, nel quale vibra il dramma che da anni consuma vite, sogni e speranze di israeliani e palestinesi. Parla di Eyal, Neftali e Gilad, i tre ragazzi ebrei rapiti e assassinati, e di Mohammad, il ragazzo arabo ucciso, sembra per un’atroce vendetta. Lo scritto si conclude in questo modo: «Quando siamo arrivati a casa sono corsa a leggere le ultime notizie e una piccola, inattesa luce mi ha illuminato. La madre di Neftali Frenkel, uno dei tre ragazzi rapiti e uccisi, ha condannato l’assassinio del ragazzo palestinese. “Se un ragazzo arabo è stato veramente ammazzato per motivi nazionalisti — ha detto — è una cosa orribile e scioccante. Non c’è differenza tra sangue e sangue. Non c’è giustificazione, espiazione né perdono per un omicidio”. Ho pensato che se una madre che ieri ha seppellito il figlio assassinato da terroristi palestinesi può condannare un atto di ritorsione c’è ancora speranza. C’è spirito di carità, c’è grandezza. E se tutti noi, moderati di entrambe le parti, seguissimo l’esempio di questa madre e cercassimo di custodire il nostro piccolo campo, di dividerlo con equità e di allontanare coloro che vorrebbero appiccare il fuoco, infonderemmo speranza nel cuore dei nostri figli. Vorrei tanto sapere come poterlo fare».

 

Nota a margine. Quell’accenno all’impossibilità di perdono per un assassinio da parte della madre di Neftali può suonare stonato sul nostro sito, affollato di note sull’infinita misericordia del Signore. E forse, portato a livello politico, renderebbe impossibile quella riconciliazione tra arabi ed ebrei dopo tanto sangue versato da una parte e dall’altra. Che è invece la speranza che abita lo scritto. E però il grido di dolore di questa madre ne riecheggia un altro:  «Un grido si è udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più». Così per la strage degli innocenti, così per l’atroce assassinio di Eyal, Gilad, Neftali e Mohammad, vite rubate che accendono l’ira di Dio (l’omicidio volontario grida vendetta al cospetto del Signore, così nei precetti della Chiesa). Dopo decenni di conflitto, questa terra attende il miracolo di una impossibile riconciliazione: la parola miracolo non l’abbiamo usata invano, stante anche la conclusione dell’articolo che rivela tutta l’impotenza umana di fronte alla sfida efferata del Male.

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