Il ministro degli Esteri israeliano Sa'ar in Ucraina

La visita del ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar in Ucraina, in sé forse secondaria nel panorama degli avvenimenti recenti, ha però un alto significato simbolico, dal momento che appare un momentum di disvelamento di quanto finora relegato nell’occulto, l’appalesarsi, seppur fugace, di una realtà inconfessabile. E cioè il legame profondo tra il genocidio palestinese e quello realizzato da Kiev per conto dei suoi sponsor d’Occidente, i quali gli hanno commissionato questa guerra per procura contro la Russia fino all’ultimo ucraino.
Due guerre parallele contro lo stesso nemico, l’Oriente, nel caso ucraino la Russia e in quello mediorientale i Paesi in qualche modo influenzati dall’Iran, con il genocidio palestinese come necessario alla Grande Israele, proiettata a diventare potenza regionale dominante dopo la sconfitta di Teheran (con l’incognita Turchia, ci torneremo).
Due guerre parallele, meglio due guerre infinite parallele, ché gli sponsor di Kiev e il governo israeliano hanno dato tale connotazione ai due conflitti, così che il sabotaggio dei vari negoziati che hanno scandito entrambe le guerre non è fatto contingente, dato cioè da cause estrinseche (ad esempio la conservazione del potere di Netanyahu), ma è parte essenziale di tali conflitti.
D’altronde l’una e l’altra hanno gli stessi padrini internazionali: i circoli neoconservatori e liberal che hanno avviato, nel post 11 settembre, la stagione delle guerre senza fine, le quali hanno lo scopo di ripristinare, in modi e forme dinamiche e spesso asimmetriche, l’unilateralismo americano (per questo indicare Netanyahu e i suoi messianici compagni come protagonisti assoluti del genocidio palestinese è del tutto riduttivo; errore generativo di altri errori, nel presente e nel futuro).
Un legame profondo, che ha portato Israele perfino a prodigarsi per lavare i panni dei neonazisti ucraini, accogliendo con laudi e applausi a Tel Aviv la delegazione del Battaglione Azov. E che ha visto Kiev schierarsi decisamente con Israele nella guerra contro l’Iran, con l’odierna visita di Sa’ar che mira a stabilire un coordinamento su vasta scala contro Teheran – come dichiarato dai ministri degli esteri dei due Paesi nella conferenza stampa congiunta – intensificando i rapporti sul piano della Difesa e della tecnologia.
Tale il parallelismo, il filo rosso (sangue) che collega i due conflitti, che Gideon Sa’ar ha accennato con queste parole: “Israele e Ucraina condividono un legame speciale. Entrambe le nostre nazioni affrontano tempi difficili e impegnativi. Entrambe affrontiamo guerra e dolore. Siamo entrambe nazioni resilienti”.
Le visita di Sa’ar ha conosciuto anche momenti tragicomici, o grotteschi che dir si voglia, quando questi ha dichiarato con la solennità del caso che Israele “condanna gli attacchi russi contro i civili”.
Evidentemente ritiene che le vittime civili ucraine – che in numeri assoluti, in proporzione e per numero di donne e bambini uccisi non sono minimamente paragonabili a quelle di Gaza – hanno un quid che ai palestinesi manca. Singolarità che denota come il suprematismo si applichi ai vivi come ai morti.
Ma forse il momento più significativo della visita è stato quando Sa’ar è stato condotto dai suoi ospiti, gratificati da cotanta presenza, a onorare il monumento che ricorda le vittime del genocidio dell’Holodomor, una tragica carestia che costò la vita a milioni di ucraini e che generalmente viene attribuita a una deliberazione dell’URSS guidata allora da Stalin.
Sulla vicenda abbiamo scritto una nota, riportando le conclusioni di diversi autorevoli storici occidentali che invece parlano di una carestia non indotta, ma non serve indugiare sul punto – né è nostra intenzione difendere l’indifendibile Stalin – mentre è d’obbligo rilevare come la commemorazione dell’Holodomor da parte di Sa’ar, e delle autorità ucraine che l’accompagnavano, è avvenuta mentre Israele sta provocando una carestia su vasta scala a Gaza.
I palestinesi sono stremati a causa delle restrizioni alimentari imposte da Israele e un centinaio di essi, soprattutto bambini, sono già morti per fame, con un tasso di incremento che giocoforza sta accelerando. Tanto che oltre 100 ong hanno lanciato l’allarme sul rapido dilagare di una carestia di massa, mentre tonnellate di aiuti, di cui è impedita la distribuzione perché al di fuori dal sanguinoso circuito della Gaza Humanitarian Foundation – l’unico autorizzato a tale scopo – giacciono nei magazzini fuori e dentro Gaza.
Resta che le contraddizioni grottesche che hanno connotato la visita del ministro israeliano in Ucraina non sono qualcosa di limitato ai due Paesi. Basta vedere come anche la maggior parte della leadership dei Paesi europei vive di tali contraddizioni, condannando, solo ora e in modalità soft, Israele (senza, però, adire a nessuna azione di contrasto, anzi) e, allo stesso tempo, sostenendo Kiev. Non comprendendo che sono due facce della stessa medaglia (anche se a livello alto lo sanno benissimo).
Non per nulla gli ambiti politici, finanziari e culturali internazionali che alimentano la guerra ucraina come necessaria ad abbattere la Russia, ostacolo irriducibile all’unilateralismo di ritorno, sostengono anche il genocidio palestinese come passaggio necessario per la genesi della Grande Israele, che di tale unilateralismo è pendant imprescindibile, come evidenzia l’ossessiva attenzione degli strateghi delle guerre infinite per il Medio oriente.
Un ulteriore parallelismo tra le due guerre, e necessitato corollario, è il duro contrasto alle residue forze socio-politiche, alle narrazioni e, nel caso palestinese, alle manifestazioni che pongono qualche criticità alle linee guida imposte dai circoli suddetti, con una repressione meno stringente, almeno per ora, nel caso palestinese solo perché più evidente è la realtà dei fatti e l’orrore, e più diffuso il sostegno.
Quanto alla cronaca, che pure ha la sua importanza, si segnala che l’inviato di Trump Steve Witkoff è arrivato a Roma per incontrare le delegazioni di Israele e del Qatar, che media per conto di Hamas. Se l’incontro andrà bene, si recherà a Doha per presiedere all’accordo sul cessate il fuoco. Poche speranze in tal senso e ancor meno si possono nutrire sul parallelo negoziato che si svolgerà domani a Istanbul tra russi e ucraini, destinato al massimo ad accordi minimali.
Al di là delle dinamiche e delle peculiarità dei due conflitti, si può notare, sempre a proposito di richiami dell’uno all’altro, come registrino finestre di opportunità per i negoziati in parallelo. Non è la prima volta che accade, né è casuale.
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