Siria. Il conflitto per procura tra Turchia e Israele

Gli scontri registrati in Siria – epicentro l’area che insiste sulla città di Sweida abitata dai drusi – hanno causato oltre 500 vittime con minaccia di un forte incremento, dal momento che il fragile cessate il fuoco, raggiunto a fatica, vacilla.
Tutto nasce dal caos seguito dalla caduta di Assad, che ha visto ascendere al trono di Damasco il terrorista di fiducia dell’Occidente, Ahmed Al-Sharaa, già Mohammad al Golani, leader prima di una fazione dell’Isis e poi di al Nusra, sezione siriana di al Qaeda, terrorista formatosi, come il leader dell’Isis al Baghdadi e tanti altri, nelle carceri americane, dalle quali fu rilasciato nel 2011, cioè all’inizio del regime-change siriano.
Dopo la caduta di Assad, Ahmed Al-Sharaa, coadiuvato da Ankara che lo aveva teleguidato per conto dell’Occidente durante il regime-change, ha faticato a ricomporre i cocci della Siria, in gran parte causati dal suo imperversare. Ma a poco a poco, grazie appunto ad Ankara, è riuscito a ristabilire una parvenza di statualità, anche se tanti non si fidavano del terrorista in giacca e cravatta, tanto da disobbedire alla richiesta di consegnare la armi.
Ciò ha dato vita ai pogrom di Latakia e Tartus del marzo scorso, quando oltre mille alawiti, ramo distaccato dello sciismo i cui esponenti avevano coadiuvato il presidente Assad, furono barbaramente trucidati dagli ex terroristi che avevano conquistato il potere.
Anche parte della comunità drusa, minoranza che ha una religione tutta particolare, aveva eluso la richiesta, ma la loro insubordinazione è stata in parte tollerata dal momento che questa comunità godeva dell’ombrello di protezione israeliano, che alla caduta di Assad ha esteso la sua influenza nel Golan e nelle regioni circostanti, dichiarate unilateralmente aree smilitarizzate.
Non che tutti i drusi siano contenti di questa interessata protezione, anzi tanta parte di essi l’hanno rigettata come ingerenza indebita, ma per le mire espansionistiche di Tel Aviv, decisa a diventare una potenza globale grazie alla sua presa sul Medio oriente, è un dettaglio secondario.
Così veniamo agli ultimi eventi, cioè a quanto ha scatenato l’attuale caos che, incidentalmente ha avuto inizio in un altro funesto 11, venerdì 11 luglio appunto, quando un giovane druso è stato rapito mentre si recava a Damasco. Un avvenimento alquanto usuale da quelle parti, dal momento che da tempo si registravano frizioni e scontri tra drusi e beduini locali.
Stavolta, però, gli scontri sono stati di più ampia portata, costringendo Damasco a intervenire in forze. Ma, invece di sedare il focolaio di incendio, l’intervento lo ha fatto divampare, con i drusi che hanno accusato le forze di Damasco di proteggere i loro correligionari beduini, anch’essi islamici sunniti, e l’inizio di scontri di più ampia portata tra drusi ed esercito siriano, che hanno prodotto oltre 100 vittime.
Un conflitto ineguale, con i drusi destinati a subire. Ma ecco che, come ovvio che fosse, Tel Aviv invia le sue forze a difesa dei drusi, che rappresentano anche una minoranza ben integrata nello Stato israeliano.
E qui la situazione si ribalta, dal momento che l’esercito siriano nulla poteva fare contro l’aviazione israeliana che non solo ha martellato i fantaccini di Damasco, ma ha lanciato attacchi anche contro la capitale, colpendo il ministero della Difesa, come avvertimento ai padroni del vapore.
Un intervento che ha visto sgretolarsi la rete faticosamente tessuta da Washington nei mesi scorsi, che sperava di fare della Siria una sorta di trait d’union tra Turchia e Israele, consolidando la presa di Ankara sul Paese e, al contempo, quella di Israele sul Golan, con l’adesione di Damasco agli accordi di Abramo come ulteriore regalo a Tel Aviv. Il tutto condito dai soldi del Qatar e di altre monarchie sunnite alle quali Washington ha affidato la ricostruzione del Paese, della quale avrebbero beneficiato turchi e israeliani.
Tutti felici e contenti, insomma. Se non fosse che il caos creativo, ricetta con cui i neocon americani da tempo sperano di rimodellare il Medio oriente, poco funziona quando è applicato alla realtà, ché il caos per sua natura è distruttivo.
Né le convergenze parallele tra Netanyahu ed Erdogan, evidenti in tanti dossier mediorientali nonostante l’antagonismo pubblico, possono snodarsi secondo i binari non conflittuali propri di altri partenariati a distanza. L’espansionismo israeliano, infatti, non può che confliggere con il sogno neo-ottomano di Erdogan.
Se il fragile cessate il fuoco attuale, già infranto da scontri localizzati a rischio di nuovi incendi, è stato un piccolo successo di Washington, che ha mediato tra le parti rassicurando la Turchia che vedeva vacillare la sua influenza sul Paese confinante, è pur vero che stavolta a fianco degli States sono scesi Russia e Cina, interessate a preservare un minimo di ordine nella regione.
Ciò anche perché sono ben consapevoli che l’obiettivo di Israele è sempre lo stesso, portare il caos alle porte dell’Iran: se la Siria sprofonda nel caos, infatti, questo non potrà che propagarsi nel confinante Iraq, che paventa da tempo tale possibilità, tanto da aver rinforzato i confini.
Senza contare che la situazione rischia di travolgere anche il fragile Libano, già alle prese con le diuturne quanto illegittime incursioni israeliane e le pressioni dell’inviato Usa per il Libano e la Turchia, il funesto Tom Barrak, che si muove nella politica del Paese dei cedri come una sorta di governatore coloniale.
La sua missione è quella di eliminare Hezbollah dal Libano, iniziando dal suo disarmo, per poi consegnarlo nelle braccia di Israele. Una missione alla quale si dedica con certa aggressività, tanto da minacciare che, se la milizia sciita non accetterà i diktat di Washington, il Paese tornerà al tempo di Bilad Al-Sham, quando era parte della Grande Siria.
Un progetto che, benché smentito, è comunque accarezzato dai neocon e da Ankara, come rileva un articolo di The Cradle sulla crescente influenza turca, tramite un apposito ufficio di Damasco sulla città libanese di Tripoli, il cui porto rappresenta un’infrastruttura più che strategica. Manovre a cui si sommano le indiscrezioni raccolte da i24NEWS sulla richiesta delle autorità siriane agli States per ottenere il controllo della città in cambio dell’adesione agli Accordi di Abramo. Tale la natura funesta del caos creativo, che tante sofferenze ha già recato alla regione.
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