21 Luglio 2025

Israele chiede aiuto agli Usa per la pulizia etnica di Gaza

di Davide Malacaria
Israele chiede aiuto agli Usa per la pulizia etnica di Gaza
Tempo di lettura: 5 minuti

Il capo del Mossad David Barnea si è recato negli Stati Uniti per chiedere aiuto per lo sfollamento dei palestinesi da Gaza, in particolare perché diano incentivi ai Paesi che potrebbero ospitarli: Etiopia, Indonesia e Libia. Un trasferimento “volontario”, ovviamente, dichiarano gli israeliani, che avverrebbe in seguito alla costruzione della famigerata “città umanitaria” di Rafah, dove dovrebbero essere ammassati tutti i gazawi.

Il viaggio di Barnea è coinciso con l’avvio di nuova operazione militare nel centro della Striscia, finora relativamente risparmiato perché vi sono detenuti gli ostaggi israeliani. Per cominciare, Israele ha ordinato ai residenti della città di Deir al-Balah di evacuare verso un’area già sovraffollata di derelitti, mentre lo Stato Maggiore sta studiando un piano per isolare tutta l’area centrale, con tutti gli orrori che ciò comporta.

I due avvenimenti sembrano segnalare un’inversione di tendenza. La scorsa settimana era trapelata la notizia che nei negoziati si era superato l’ostacolo del corridoio di Morag, che Israele voleva conservare per delimitare, attraverso questo e il corridoio Filadelfia che corre parallelo più a Sud, l’area di Rafah, sulla quale edificare il campo di concentramento umanitario.

Il cedimento di Netanyahu sul Morag veniva interpretata come la fine di tale prospettiva, che l’amministrazione Trump, per bocca di Steve Witkoff, aveva bocciato. Il viaggio di Barnea e la nuova strategia israeliana segnalano che le cose sono cambiate.

Gaza: l'incontro segreto che potrebbe portare alla tregua

Se Netanyahu si apprestava a siglare un accordo non c’era motivo di attaccare l’area nella quale sono detenuti gli ostaggi, con il rischio di ucciderli. Rischio che sta creando feroci controversie in Israele, con il ministro per gli insediamenti, la signora Orit Strook, che ha dichiarato apertamente che ciò non deve impedire di procedere, suscitando l’ira dei parenti degli ostaggi.

Insomma, sembra che ci si muova verso l’ennesimo collasso dei negoziati e il prepotente ritorno della pulizia etnica. Quanto a Barnea, Gideon Levy, su Haaretz, ricorda come “Adolf Eichmann iniziò la sua carriera di nazista come capo dell’Agenzia Centrale per l’Emigrazione Ebraica” e come il padre del capo del Mossad sia fuggito dalla Germania sotto la pressione dello sfollamento.

It's Clear – Israel Now Has a Plan for the Ethnic Cleansing of Palestinians From Gaza

“Il nipote di un rifugiato che è stato vittima di una pulizia etnica in Germania parla di pulizia etnica e ciò non gli evoca nessun ricordo…”, chiosa Levy, che aggiunge: “Non si può più accusare Benjamin Netanyahu di condurre una guerra senza scopo. C’è uno scopo in questa guerra ed è criminale. Non si può più dire ai comandanti dell’esercito che i loro soldati stanno morendo senza motivo: stanno morendo per consumare una pulizia etnica”.

Quanto a Barnea, aggiunge Levy, “è un alto funzionario obbediente, che non ha mai creato attriti con i suoi superiori. Vi suona familiare?” La difesa di Eichmann, infatti (e non solo la sua), era basata esattamente su questo: obbedivo agli ordini.

Resta da capire perché Netanyahu è tornato assertivo dopo essersi piegato alla pressioni di Trump. E il motivo potrebbe essere la grande difficoltà di Trump, travolto dal caso Epstein. L’insabbiamento della vicenda gli ha messo contro tanti dei suoi sostenitori, i quali chiedono che siano resi pubblici i documenti sui pedofili a cui il miliardario offriva i suoi servizi.

Una tempesta che gli avversari di Trump stanno brandendo per stringerlo in un angolo. Ironico che la legittima richiesta di de-secretazione dei documenti avanzata dal repubblicano Thomas Massie sia sostenuta da tutti, o quasi, i democratici, nonostante siano essi i principali responsabili dell’insabbiamento.

Si ricordi quando, per quattro anni di governo, alle richieste di chiarezza da parte degli esponenti Maga, ironizzavano sulle teorie del complotto e tanto altro, con i media allineati. Così va il mondo e si può essere certi che, se qualcosa si muoverà in tal senso, saranno tutelati miliardari e potenti, accentrandosi l’attenzione sul solo Trump (sulla sua posizione rispetto al caso abbiamo scritto, restiamo in attesa).

Ma al di là del particolare, resta appunto la difficoltà di Trump, subito sfruttata da Netanyahu. La pressione è enorme, come denota anche la recente votazione alla Camera su un ulteriore invio a Tel Aviv di mezzo miliardo di dollari in armi, che vanno a sommarsi 3.5 di finanziamenti annui che lo scorso anno, presidenza Biden, sono stati incentivati da un’ulteriore donazione di 8.5 miliardi, come annota Adam Dick sul Ron Paul Institute.

Just Six US House Members Vote Against Sending Israel Another Half Billion Dollars in Military Aid

L’onorevole repubblicana Marjorie Taylor Greene ha tentato di bloccare il finanziamento, ma a lei si sono uniti solo cinque onorevoli… d’altronde, la lobby israeliana, come si legge sul sito ufficiale, nelle ultime elezioni ha sostenuto “361 candidati pro-Israele” di entrambi i partiti. Gli altri sono stati acquisiti dopo. Con questi chiari di luna è difficile per Trump districarsi; le sue difficoltà sono fotografate da un titolo di Haaretz: “Sperando di accelerare la tregua a Gaza, Trump inonda Netanyahu di affetto e comprensione”.

Intanto la mattanza continua: oltre alla carestia dilagante, che miete vittime innocenti, altri 85 palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano di accedere agli aiuti. Sul punto, un articolo di tragica ironia: il Jerusalem Post, per smentire le denunce ormai quotidiane, ha pubblicato un video che immortala l’arrivo di un camion di aiuti assaltato da una folla di palestinesi affamati che, prima ancora di accaparrarsi il necessario, si girano verso i soldati israeliani che li tengono sotto tiro e gli tributano un applauso riconoscente per l’ausilio.

WATCH: Gazans cheer while safely receiving humanitarian aid, disputing massacre claims

Credono di cavarsela con sciocchezze similari, tanto da destinare una montagna di soldi per pagare “550 influencer” stranieri che saranno chiamati in Israele per essere addestrati a difendere le ragioni del genocidio.

Da ultimo, registriamo come papa Leone IV abbia recepito l’indignazione di quanti, cristiani e non, hanno giudicato troppo soft la reazione all’attacco contro la parrocchia cattolica di Gaza. E ieri ha usato parole forti per denunciare la “barbarie” e per lanciare un appello alla comunità internazionale “a osservare il diritto umanitario e a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, nonché il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione; infine, per chiedere il rispetto dei “luoghi di culto di Gaza”, cenno generico che sottintende non solo le chiese cristiane (di cui tre sono state distrutte), ma anche le moschee (oltre un migliaio distrutte).

Sa correggersi. Resta la riserva per aver accettato la telefonata di Netanyahu. Poteva non farlo o quantomeno comunicare che avrebbe risposto dopo il cessate il fuoco. In Vaticano avranno vagliato pro e contro, come il peggioramento della condizione dei cristiani anche in Cisgiordania e oltre. Arduo giudicare, ma le domande restano. Fare il Papa è mestiere difficile, Leone IV lo sta imparando a sue spese.

 

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