19 Maggio 2015

Il nucleare iraniano e la guerra siriana

Il nucleare iraniano e la guerra siriana
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«La rapida offensiva delle diverse componenti dell’opposizione sunnita siriana, rivali tra loro, ai danni del regime di Bashar al Assad, apre la prospettiva di far cadere Damasco prima della fine di giugno, data entro la quale dovrebbe concludersi il negoziato nucleare fra Iran e Occidente. La caduta di Assad – o almeno la conquista della sua capitale – sarebbe un disastro per l’Iran: Damasco è per Teheran un alleato fondamentale e un pilastro della sua sicurezza [—] conquistare Damasco sarebbe una vittoria militare, politica e psicologica per gli Stati del Golfo guidati dall’Arabia Saudita che vivono nell’angoscia di un Iran capace di dominare il Golfo Persico». Così Gilles Kepel in un articolo pubblicato sulla Repubblica del 19 maggio, che accenna alle attuali difficoltà del governo siriano e, in altra parte, riporta: «Nella dottrina islamica e nell’escatologia la caduta di Damasco è infatti equiparata a una virtù apocalittica. I musulmani pii sono infatti convinti che permetterà all’islam di conquistare il mondo».

Significativo anche il titolo: La conquista di Damasco è il vero nodo della partita.

 

Nota a margine. Abbiamo riportato l’articolo perché accenna a un elemento significativo della guerra siriana, ovvero al rapporto tra questo conflitto e la trattativa sul nucleare iraniano in corso tra Washington e Teheran. Cosa reale e da tenere presente. Come anche vero che l’esercito regolare siriano è stremato, stante anche che i confini del Paese, tranne parte del confine libanese, sono in mano agli islamisti.

 

Altre cose dell’articolo non convincono affatto: raccontare la guerra siriana come uno scontro tra un regime e delle milizie sunnite legate ai Paesi del Golfo è parte della verità. Non si può obliterare che tali milizie sono composte da mercenari reclutati da diverse parti del mondo, assassini mandati al fronte imbottiti di droga, autori di crimini atroci sulla popolazione civile (la cui unica difesa è il cosiddetto regime di Assad).

 

Un amico mi riportava la testimonianza di un medico che lavora per un’importante organizzazione sanitaria internazionale, il quale aveva curato uno di questi tagliagole; si era ferito in Libia, mentre combatteva per la “libertà” del popolo libico ed era stato trasportato in questo ospedale fuori dalla Libia (questi tagliagole hanno un munifico servizio sanitario). Lo ha incontrato di nuovo in Siria e questi gli ha spiegato che lì la paga era meno buona, ma aveva più possibilità di arrotondare rubando e poteva stuprare a volontà. Ecco, obliterare la natura e la ferocia di queste milizie, assimilabili all’Isis (è solo questione di nome), non aiuta a far capire la realtà sul campo. 

 

Non convince affatto, inoltre, altra parte di questo articolo: non è l’islam che anela alla caduta di Damasco come segno messianico, ma è una sua perversione. Tanto è vero che tale perversione vede l’islam tradizionale come un nemico da abbattere, peggiore dell’Occidente. Sul punto abbiamo scritto ampiamente e vi rimandiamo.

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