Israele e gli Hunger Games di Gaza

“Trump ha posto fine alla guerra tra Israele e Iran con un solo post. Può fare lo stesso per Gaza”. Titola così l’editoriale di Haaretz del 26 giugno. Purtroppo così non è. Israele può essere fermata solo con la forza (o bloccando le armi, ma evidentemente né Trump né la Ue possono o vogliono). Una forza che l’Iran ha dimostrato di avere, martellando Israele come mai era accaduto nella sua storia, mentre i palestinesi non ne hanno.
Vero che negli ultimi giorni Hamas ha portato a segno attacchi più incisivi dei mesi pregressi, paragonabili a quelli dei primi giorni dell’invasione, in particolare quello di ieri che ha causato la morte di sette soldati, ma ciò non basta a intaccare la determinazione del governo israeliano.
In secondo luogo, Israele non finirà la guerra se non potrà dichiarare di aver vinto, cioè di aver conseguito gli obiettivi prefissati. Nel caso iraniano l’obiettivo dichiarato era quello di eliminare la minaccia nucleare (in realtà, era tutt’altro: devastare il Paese e promuovere un regime-change), obiettivo che può dire di aver conseguito (anche se non è vero). A Gaza è tutt’altro.
Il genocidio continua
Nel caso di Gaza, infatti, Netanyahu, al di là degli obiettivi reali, cioè restare al potere e realizzare la Grande Israele attraverso l’annessione di Gaza e della Cisgiordania, ha dichiarato pubblicamente che intende eliminare Hamas.
Sabotando via via i tentativi di risoluzione diplomatica e tenendo la barra ferma sulla soluzione militare, tale obiettivo resta sfuggente, come dimostra l’attacco portato ieri da Hamas, consentendogli di portare avanti la soluzione finale della questione palestinese e di restare al potere.
Così, mancando la leva della forza e mancando una vera opposizione interna a Netanyahu, con i partiti antagonisti ridotti a fare l’opposizione di sua Maestà, e soprattutto potendo contare sul sostegno di tanta parte dei poteri forti d’Occidente (liberal – neocon Usa e l’establishment della Ue) non si vede luce per il genocidio in atto.
C’è chi dice che la tregua conseguita con l’Iran possa portare nuovo slancio ai negoziati, c’è chi dice il contrario, né si hanno notizie su sviluppi in tal senso. Ieri Trump ha dichiarato: “Stiamo facendo molti progressi a Gaza, siamo vicini”. Parole che riecheggiano affermazioni già fatte, per cui vanno prese con la relatività del caso.
E però è pur vero che Israele è uscita malconcia dal conflitto con l’Iran e Trump ne è uscito più forte, come dimostra l’acquiescenza con cui è stato accolto al vertice di Bruxelles, con il segretario della Nato Mark Rutte che si è esibito in uno squallido esercizio di pronazione, chiamandolo “paparino”. Ma ripetiamo che non ci sono novità reali, se non la reiterazione della disponibilità di Hamas a un accordo che ponga un termine duraturo allo sterminio (che poi è il discrimine: Netanyahu finora non ha aperto se non a tregue temporali).
Dal canto suo Steve Witkoff ha dichiarato che ci sono “grandi annunci in arrivo” relativamente agli Accordi di Abramo – che prevedono la normalizzazione dei rapporti tra Paesi arabi e Israele – ai quali, secondo le anticipazioni, dovrebbero aderire altri Paesi oltre gli attuali Emirati Arabi, Bahrein, Sudan e Marocco. Secondo le indiscrezioni potrebbe aderire la Siria – nulla di nuovo, con al Qaeda al potere – e si dice il Libano, ma ci permettiamo di dubitare.
Hunger Games a Gaza
Se sono queste le novità in arrivo, non sembra che possano avere ricadute su Gaza, a meno di accordi sottobanco. Così gli indicibili orrori della Striscia proseguono senza soluzione di continuità. Di oggi la novità della sospensione degli aiuti nel Nord, decisa per l’asserito furto di un camion da parte di Hamas.
Notizia circolata ieri e che ha spinto Bezalel Smotrich a minacciare di far cadere il governo se Netanyahu non avesse preso provvedimenti. E il premier ha subito provveduto, sospendendo la distribuzione degli aiuti fino a quando l’esercito non troverà un modo per evitare l’asserita ingerenza di Hamas. Decisione in linea con le pulsioni genocide in atto.
In realtà, è più che probabile che sia una notizia manipolata ad arte per bloccare gli aiuti, dal momento che sappiamo per certo che in passato tali furti sono stati perpetrati delle milizie dell’Isis finanziate da Israele che scorrazzano nella Striscia in funzione anti-Hamas, mentre quest’ultima ha piuttosto giustiziato i responsabili di tali furti (vedi Reuters). Tant’è.
Allo stesso tempo continuano le stragi dei poveretti che cercano di arrivare agli aiuti. Così il media +972: “Decine di migliaia di persone si affollano nei punti di distribuzione, a volte con giorni di anticipo, e molti tornano a casa a mani vuote”.
“Civili affamati si radunano in folle enormi, in attesa del permesso di avvicinarsi. In molti casi, le truppe israeliane hanno aperto il fuoco sulle masse – e persino durante la distribuzione – uccidendo decine di persone mentre cercavano di raccogliere qualche chilo di farina o del cibo in scatola da portare a casa in quello che i palestinesi hanno soprannominato ‘Hunger Games'”. Nulla da aggiungere.
Oltre la fame, la sete. L’Unicef ha lanciato l’allarme: dal momento che a Gaza non c’è più elettricità, l’unico modo per accedere all’acqua potabile è tramite gli impianti idrici – quelli ancora utilizzabili, solo il 40% del totale – che funzionano col carburante; ma il carburante viene introdotto nella Striscia col contagocce, da cui la penuria d’acqua. Emergenza che, se non risolta, provocherà ulteriori disastri.
Oggi Haaretz ha pubblicato le storie di alcuni degli oltre 17mila bambini uccisi a Gaza, numero da prendere come stima perché si tratta solo dei morti accertati, che sono solo una parte del totale, ai quali peraltro vanno sommati quelli assassinati tramite malattie e stenti indotti dalle disumane restrizioni. Nulla da aggiungere anche in questo caso.
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