11 Maggio 2021

Israele: l'escalation da fermare

Israele: l'escalation da fermare
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Divampa il fuoco a Gerusalemme, il caos dilaga e riprende il tragico incrociarsi di colpi tra Gaza e Israele, con i Jet di Tel Aviv che hanno lasciato sul terreno 24 morti, tra i quali 9 bambini. Non solo non si è evitata un’escalation evitabile, ma è stata gettata altra benzina sul fuoco.

Giornata cruciale ieri, nella quale i nazionalisti israeliani intendevano celebrare la  giornata di Gerusalemme con una manifestazione diretta verso la moschea di Al- Aqsa. Benzina sul fuoco, appunto, anche per il momento critico che sta vivendo la città, da giorni consegnata agli scontri tra palestinesi e polizia.

Inevitabili gli scontri con i palestinesi che si erano disposti a presidio della moschea per impedire la profanazione del terzo luogo più sacro dell’Islam. Le autorità israeliane, però, avevano imposto una deviazione del percorso della manifestazione, gesto che sembrava potesse evitare guai.

Non è andata così, dato che nel pomeriggio la polizia si è scontrata con i palestinesi che si trovavano sulla spianata della moschea, penetrando anche all’interno del luogo sacro per sfollarlo. Scontri durissimi, come documentano vari video che circolano sul web.

Questo il commento di Rashida Tlaib, prima palestinese a sedere al Congresso americano: “Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro dell’Islam e le persone che pregano durante i giorni più sacri del mese sacro del Ramadan sono state picchiate, gasate, ferite e uccise dalle forze israeliane. Vengono loro negati medici e sono costrette a usare le stuoie usate per la preghiera come barelle” (Politico).

Parole che hanno attirato le ire dell’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, secondo il quale la polizia ha reagito al lancio di sassi dei palestinesi. I video raccontano, inutile aggiungere.

Nella confusa temperie, da Gaza sono partiti razzi e palloni incendiari, che non hanno fatto vittime israeliane, ma che hanno egualmente attirato l’inevitabile risposta dell’esercito di Tel Aviv, durissima, come non si vedeva da tempo.

Gli scontri stanno condizionando non poco il processo politico israeliano, né poteva essere altrimenti. Si tratta di una partita di giro. un groviglio inestricabile, dove causa ed effetto vanno a confondersi.

E ieri è arrivato, inevitabile, lo stop ai colloqui per la formazione di un nuovo governo da parte dei partiti arabi israeliani, che avevano dato il loro appoggio a un governo di unità nazionale che estromettesse Netanyahu. Prima di riprendere i negoziati hanno chiesto il ritorno alla calma.

Nel riferire la notizia, Yossi Verter, su Haaretz, spiega che la mossa offre a Netanyahu “un incentivo per mantenere alta la tensione”. Lo scontro israelo-palestinese, infatti, impedisce alle forze politiche arabo-israeliane di allearsi con  forze politiche di matrice ebraica: sarebbe visto come un tradimento della causa palestinese…

Stesso discorso vale per le forze politiche di centro-sinistra a cui serve tale appoggio per formare il nuovo governo: finché piovono razzi da Gaza e finché la situazione interna non sarà sedata, un accordo con gli arabo-israeliani darebbe ai loro antagonisti politici, che già li additano come collusi con i terroristi arabi, nuove munizioni al loro fuoco di sbarramento.

Situazione complessa e a rischio avvitamento. La conta dei morti potrebbe essere solo iniziata, in particolare se l’escalation con Gaza non si placa (la possibilità di una nuova guerra aperta ora c’è).

Sul punto, interessante un cenno di Amos Harel su Haaretz: “Ironia della sorte, quindi, Hamas sta concedendo a Netanyahu un ultimo favore. Continuare lo scontro nei territori rischia di seppellire il ‘cambio di governo’ prima ancora che nasca”.

Nel frattempo va registrata la “grande preoccupazione” della Casa Bianca, che pur condannando con fermezza il lancio di missili da Gaza, sta osservando quanto accade in Israele con evidente irritazione, avendo visto il suo invito a calmare la situazione del tutto ignorato.

Irritazione contraccambiata. Il Times of Israel riferisce un messaggio di Jonathan Pollard, la spia israeliana a lungo detenuta nelle carceri Usa e liberata da Trump sul finire del suo mandato.

In un intervento pubblico, Pollard ha denunciato l’odio verso gli ebrei da parte “dell’Autorità nazionale palestinese, dei  ‘nostri nemici dichiarati a Gaza e di molti burocrati e funzionari che lavorano nell’attuale amministrazione Biden'”.

‘Quello di cui stiamo parlando è Amalek, puro e semplice’, ha detto, identificando l’amministrazione Biden e la leadership palestinese con l’arci-nemico biblico degli israeliti”. Pollard evidentemente ha dato voce a umori profondi di una parte della Sicurezza israeliana.

Tempi confusi: restare impigliati nella spirale di odio serve solo ad alimentare il caos, facendo il gioco degli di chi soffia sul fuoco. Serve lucidità, in Israele e altrove, per fermare l’escalation prima che diventi abisso.

 

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