Kamala Harris abbraccia i neocon e ammicca a Netanyahu
Presentandosi a un comizio elettorale insieme a Liz Cheney, Kamala Harris, o, per meglio dire, chi la guida, ha dichiarato apertamente che sosterrà Israele nella sua eventuale grande guerra mediorientale contro l’Iran, ossessione decennale di Netanyahu e dei circoli neoconservatori repubblicani a lui legati da vincoli di sangue, dei quali la Cheney è portavoce.
Segnale a Netanyahu
Un segnale inviato a Netanyahu e alla destra ebraica, israeliana e americana, perché sostengano la candidata del partito democratico piuttosto che Trump, che sul tema è sempre stato ambiguo, avendo fatto dichiarazioni incendiarie, ma anche dichiarato di voler cercare un accordo con Teheran, se rieletto.
D’altronde, ormai il partito democratico ha virato decisamente a destra, come ha dimostrato l’ultimo anno nel quale ha assecondato le prospettive neocon, cioè le guerre infinite e la stessa opzione apocalisse (un conflitto che non escluda l’atomica dal tavolo), sia in Ucraina che in Medio oriente, con la sinistra che fa riferimento a Bernie Sanders ormai soffocata, se non convergente con tale aggressività in tanti dei suoi esponenti, anzitutto la stellina Ocasio Cortez.
Di tale deriva a destra si legge su The Intecept in un articolo nel quale, dopo aver ricordato come tanti neocon abbiano già esplicitato il loro endorsement per la Harris, si legge: “La campagna elettorale della Harris non sta solo corteggiando moderati e conservatori come parte di una strategia a breve termine per vincere le elezioni. Piuttosto, i democratici stanno attivamente supportando e rilanciando le idee neoconservatrici“.
“Nel discorso programmatico tenuto alla Convention nazionale democratica, la Harris ha giurato: ‘Come comandante in capo, farò in modo che l’America abbia sempre l’esercito più forte e letale del mondo’, mentre il suo partito non consentiva a nessun palestinese americano di salire sul palco della Convention per parlare della guerra genocida di Israele contro Gaza”.
Il programma neocon del partito democratico
“Anche il programma del partito del 2024 riflette questo spostamento verso destra. Una sezione del programma del 2020 sulla fine delle guerre infinite e sull’opposizione ai regime-change [perle della strategia neocon ndr.] è stata completamente eliminata nel 2024“.
“Il partito democratico è passato dal chiedere la fine del sostegno degli Stati Uniti alla brutale guerra dell’Arabia Saudita in Yemen a sostenere il piano dell’amministrazione Biden per un’intesa volta a normalizzare le relazioni tra Israele e la monarchia del Golfo Persico”.
Il cenno finale riguarda gli Accordi Abramo, con la normalizzazione in questione che supera, obliterandola, la questione dello Stato palestinese, prima ostativa alla ripresa dei rapporti diplomatici tra Tel Aviv e i Paesi arabi.
Va ricordato, peraltro, che l’Accordo fu redatto dal genero di Trump Jared Kushner con rilancio entusiastico di Netanyahu (quest’ultimo era molto amico del padre di Jared, tanto da essere suo ospite quando visitava gli Usa, vedi Jerusalem Post). E che Trump ebbe a dire che il genero era più fedele a Israele (leggi Netanyahu) che a lui…
“[…] Alcune delle modifiche più evidenti in stile neocon del programma dei democratici] – prosegue The Intercept – hanno a che fare con la politica riguardante l’Iran. Il programma di quest’anno ha tentato di dipingere Trump come troppo morbido con l’Iran“.
Non solo, tanti esponenti democratici che hanno lavorato all’accordo sullo sviluppo del nucleare iraniano stilato da Obama, prosegue il media Usa, ritengono che “l’amministrazione Harris non cercherà di tornare indietro su quell’accordo”.
L’ambiguo Biden e la risposta di Israele al raid iraniano
Questo spostamento a destra del partito democratico spiega perché Biden, dopo tanta dialettica con Netanyahu su Gaza, abbia ormai mollato i freni, vinto dalle pressioni del suo stesso partito, che in un primo tempo aveva assecondato il suo braccio di ferro con il premier israeliano – vedi ad esempio la durissima presa di posizione di Schumer – nel tentativo di spodestarlo e ora, fallito quel tentativo, convergono sulle sue posizioni.
E spiega l’atteggiamento della Casa Bianca sulla nuova escalation mediorientale, che rischia di aprire un conflitto aperto con l’Iran. Israele sta calibrando la risposta ai missili iraniani lanciati sul suo territorio. Biden dovrebbe frenare se vuole evitare l’escalation, ma, come scrive il Wall Street Journal, “Biden e il suo team si ritrovano spesso a fare da spettatori, incapaci o riluttanti a frenare un alleato che continuano a sostenere politicamente e a fornire un fondamentale supporto militare“. Dove la parte decisiva della frase è l’ultima.
Così ieri Biden ha rassicurato il mondo sul fatto che Tel Aviv non colpirà le centrali atomiche iraniane, cosa che resta da vedere, ma si è detto aperto all’opzione di un attacco ai siti petroliferi. Attacco che scatenerebbe la reazione iraniana sulle infrastrutture energetiche di Israele, come hanno ammonito le autorità di Teheran.
Al di là della devastazione conseguente a una guerra su larga scala che può innescare da tale scambio di cortesie, vanno considerate le tante conseguenze per il mondo, non solo per il rischio di un allargamento su scala globale del conflitto, ma anche per la chiusura del vitale Stretto di Hormuz. Il prezzo del petrolio si è alzato a dismisura dopo le parole di Biden, inutile aggiungere che la chiusura dello Stretto lo porterà alle stelle…
Due giorni fa il viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov ha incontrato l’ambasciatrice israeliana a Mosca Simona Halperin. Ieri, reduce dal Qatar, dove si svolgono normalmente i negoziati riservati Iran-Usa, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi è sbarcato in Libano. Trattative in corso, sperem.
Intanto, i Paesi del Golfo hanno comunicato che non consentiranno agli americani di usare le basi site sul loro territorio per attaccare l’Iran.
Nella foto di apertura Kalama Harris con Liz Cheney durante un recente comizio