7 Maggio 2021

La disfida di Jersey

La disfida di Jersey
Tempo di lettura: 3 minuti

La flotta d’invasione francese

La disfida dell’Isola di Jersey ha fatto rivivere fasti antichi al Vecchio Continente, quando l’Impero britannico contendeva il dominio del mondo a quello francese. Una disfida che vibrava di echi illustri, perché consumata nel bicentenario della morte di Napoleone Bonaparte, che resta eroe sempiterno della Francia, celebrato da quasi tutti i sommi poeti e gli scrittori europei, tra cui il Manzoni: “Ei fu. Siccome immobile, / Dato il mortal sospiro, / Stette la spoglia immemore / Orba di tanto spiro…”.

Il “mortal sospiro” del grande generale veniva emesso appunto il 5 maggio, come da titolo della poesia del nostro, e Francia e Gran Bretagna hanno pensato bene di celebrare la ricorrenza tornando a incrociar le spade.

Dalla Francia una flotta di minacciosi pescherecci dà l’assalto all’Isola di Jersey, ignota ai più ma non alla Corona, dato che quella è roba sua: l’amministra, per conto della Regina, un balivo – il Jersey è ancora un bailato -, carica e funzioni che risalgono al Medioevo, noblesse oblige.

Non solo la flotta di pescherecci, anche la minaccia di tagliare la corrente elettrica all’isola, che la prende dalla vicina Francia. L’onta è grande, e nemmeno i nazisti hanno osato tanto, tuona Londra. E per difendere l’isola invia due motovedette della Royal Navy, l’HMS Severn e l’HMS Tamar.

I francesi s’incazzano, son fatti così dai tempi di Bartali (ma anche prima non scherzavano) e mandano due motovedette a rinforzo dei pescherecci da guerra. Non c’è l’ammiraglio Horatio Nelson al comando delle navi britanniche, né l’ammiraglio Pierre Charles Silvestre de Villeneuve al comando di quelle francesi, ma la suggestione Trafalgar c’è tutta.

Dimenticavamo il motivo del contendere, ce ne scusiamo con i lettori, che però crediamo lo sappiano già dato che la notizia ha dominato i media, ché la grave  crisi richiedeva una copertura h 24.

A innescare la battaglia navale una querelle da pescheria: i pescatori francesi avevano cioè con il bailato una questione di pesci: non li lasciava più gettare le reti liberamente al largo delle loro coste. Dovevano autorizzare, e ci mettevano tanto, e le barche dei poveri pescatori erano costrette ad arare acque meno pescose o a restare a beccheggiar nei porti.

La querelle s’intreccia con la Brexit, dato che nell’accordo che si è trovato in tutta fretta per sancire il divorzio della Gran Bretagna dall’Unione europea si son lasciate in sospeso un po’ di cose, tra cui, appunto, i diritti di pesca. Questione magari secondaria per le élite europee e i lord inglesi, ma per chi deve sfangare la giornata in mare non tanto.

Detto questo, lo sfoggio di potenza marinara dei contendenti è stato uno spettacolo unico, come non se ne vedeva dal Dopoguerra. Tanti i motivi per mostrare i muscoli: il biondo Johnson doveva dimostrare ancora una volta la sua determinazione, ché gli porta bene; l’algido Macron doveva far vedere che teneva al pesce francese, ché tra poco va sotto elezioni.

Per questo, e per altro, Parigi e Londra hanno deciso di incrociare nuovamente le lame, per poi rimetterle nel fodero e sedersi a un tavolo, davanti a una birra e a una bouillabaisse, come era ovvio che finisse la cosa. Anche se sul punto non può non pontificare Bruxelles, perché questione più ampia e che l’investe, ma soprattutto perché non può non mettere bocca su tutto.

Son fatti così a Bruxelles, è più forte di loro: ti dicono quanto deve essere lungo un cetriolo per essere a norma, figurarsi se possono astenersi su questo. Merita dibattito approfondito, fitti negoziati (che poi, però, loro i pesci, come anche i pani, non sanno moltiplicarli come fece un Altro anni fa; sanno dividerli benissimo: da cento che sono, per i poveretti che devono sottostare al loro pontificare ne restan due).

Ma, al di là dei misteri dolorosi di Bruxelles, quella del 6 maggio resterà nella storia come la battaglia navale più breve e incruenta mai combattuta. Non siamo nostalgici del bonapartismo, che pure fece sfracelli al tempo, e non tutti obbligati, come sanno bene i russi (basta leggere Tolstoj).

E però colpisce questa rievocazione folkloristica dei fasti andati. Insieme misura e simbolo di un’epoca, delle ristrettezze in cui sono finiti, nobili decaduti, due imperi globali che non sono più.

Nessuno sfoggio muscolare potrà ridare loro quanto perduto, ché il mondo ormai è di altri. Con la Gran Bretagna a razzolare nel cortile di casa e la Francia fatta tutt’uno con l’Europa, entità politica ormai tanto ristretta da coincidere con Bruxelles, borgo medioevale che tale rimane, nonostante tanta prosopopea e sicumera, nel grande agone del mondo.

Potrebbero puntare entrambe, per rilanciarsi, sulla loro storia, la loro cultura unica, che potrebbe consentire di districar matasse, mediare, illuminare altrui, come avveniva in tempi ancor recenti. Sembra passato un secolo ormai, da quando tutto questo è passato in mano a nani e contabili. Con le conseguenze del caso.

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