23 Dicembre 2020

Le mutande pazze di Navalny

Le mutande pazze di Navalny
Tempo di lettura: 4 minuti

Aleksej Navalny

“Mutande pazze” era il titolo di un più che dimenticabile film di Roberto D’Agostino, il creatore di Dagospia, che ben si addice al nuovo capitolo del tragicomico caso Navalny, il blogger dissidente russo che Putin, secondo le accuse dell’Occidente, avrebbe avvelenato con l’agente nervino Novichok.

Navalny ha infatti rivelato la registrazione di una lunga conversazione telefonica che avrebbe intrattenuto con Konstantin Kudrjavtsev, agente dell’Fsb, il servizio segreto russo, che avrebbe preso parte al suo avvelenamento.

Lo scherzo telefonico di Navalny

Comica la telefonata: Navalny, infatti, avrebbe chiamato il suo avvelenatore spacciandosi per un’assistente del capo dell’Fsb, e l’avrebbe indotto a rivelare che il Novichok era stato nascosto nelle mutande del dissidente, celato nelle cuciture.

Tralasciamo i soliti dettagli, cioè che la potenza del Novichok non avrebbe dovuto lasciar scampo al dissidente; che non si usa una bomba atomica (tale la potenza dell’agente nervino) per uccidere un uomo; che esistono veleni praticamente invisibili, come ben sa anche la Cia; che Putin non aveva alcun interesse a colpire  un soggetto del tutto insignificante in Russia; che l’ospedale di Omsk (russo) gli ha salvato la vita, mentre se davvero lo si voleva eliminare, lì si poteva chiudere l’operazione etc etc. e veniamo alla telefonata.

Una vera e propria puntata di “Scherzi a parte”, dove l’agente segreto, senza alcuna verifica del caso, parlando al telefono con uno sconosciuto spacciatosi per altro, rivela nei minimi dettagli una delle operazioni segrete più delicate del momento.

Ciò nulla importando che il telefono potrebbe essere sotto controllo né fare le dovute verifiche. Se qualcuno dei nostri lettori da ragazzo ha fatto o assistito a qualche scherzo telefonico può ben immaginare la scenetta. E magari ricordare come spesso accadesse che l’interlocutore mangiasse la foglia, come non è accaduto al pur smaliziato agente dell’Fsb.

Come se davvero si potesse alzar la cornetta e parlare tranquillamente con un agente della Cia… Una comica, né più né meno. Arricchita oggi da un nuovo capitolo, necessario a coprire le tante perplessità suscitate – ovviamente non sui media mainstream – da tale fantasmagorica rivelazione.

Lancet

Il nuovo capitolo prevede una mossa un po’ meno comica, ma certo bizzarra, cioè la pubblicazione su Lancet, autorevole rivista medica internazionale, di una nota dell’ospedale tedesco nel quale Navalny è stato trasportato e curato, con il placet dell’avvelenatore Putin (!), che spiega come sia stato curato.

Nella nota nulla che non si sapesse già, cioè che i medici tedeschi ribadiscono di aver trovato il Novichok, anche se devono ammettere che nel suo sangue c’era l’atropina somministrata a Omsk, che gli ha salvato la vita (contro il volere di Putin? In barba al potente Fsb?).

Stupisce che una rivista scientifica presti le sue pagine a una nota riguardante un caso isolato e tanto “politico”. Ma Lancet non è nuova a scivoloni, come quando pubblicò uno studio che negava che la l’idrossiclorochina curasse il Covid-19, a differenza di quanto asseriva Trump.

Una pubblicazione farlocca, come rivelò subito un’inchiesta del Guardian, il quale scoprì che la società che aveva condotto la ricerca esisteva solo sulla carta ed era gestita da uno pseudoscrittore di fantascienza e una pornodiva (Piccolenote).

Ma va bene così, la pubblicazione dell’ospedale tedesco nulla toglie e nulla aggiunge alla farsa. Mentre la comica conversazione tra Navalny e il (finto) agente dell’Fsb una cosa l’aggiunge.

Mutande vs. bottiglie

Il fatto è che quando si scrive un copione, spesso ci si dimentica di leggere quanto già scritto, incappando in sviste madornali.

La svista, nel caso specifico, sta appunto nell’aver dimenticato la puntata precedente della farsa, quando i collaboratori di Navalny avevano diffuso un video drammatizzante nel quale entravano nottetempo, subito dopo l’asserito avvelenamento, nella sua camera d’albergo, nella quale rinvenivano delle bottiglie d’acqua, subito fatte pervenire in Germania.

Un video seguito da un messaggio ufficiale del team di Navalny nel quale si spiegava che il laboratorio tedesco incaricato delle analisi aveva trovato nelle bottiglie incriminate tracce di Novichok.

Il Novichok era nelle mutande o nelle bottiglie? Questo il dilemma. Hanno detto una bugia allora oppure adesso? O stanno mentendo su tutta la linea? Ai lettori l’ardua risposta.

Allontanare la Russia

La nuova puntata della comica ha l’effetto solito, allontanare la Russia dall’Occidente, farne il paria globale, il giorno dopo in cui Silvio Berlusconi aveva ringraziato pubblicamente Putin per aver liberato dei pescatori italiani prigionieri in Libia.

Siamo in un momento di transizione. E forse Biden potrebbe aprire alla Russia come non è riuscito a fare Trump. Un appello in tal senso è stato lanciato alcuni giorni fa dalle colonne del New York Times, segnale che denota come il tema sia oggetto di discussione all’interno delle élite Usa.

Quattro giorni fa un attacco hacker a siti sensibili Usa, attribuito da Mike Pompeo, il peggior segretario di Stato della storia Usa (copyright Washington Post), alla Russia, nonostante Mosca non abbia alcun motivo per compiere una simile azione, inutile e controproducente.

Nulla da fare. Mosca è ancora lontana, come anche i suoi vaccini anti-Covid, che benché siano stati i primi a essere presentati, saranno gli ultimi, almeno in Occidente, dove peraltro ha suscitato irritazione la recente partnership tra i produttori di questi e Astrazeneca, produttrice del vaccino di Oxford.

 

 

 

 

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