20 Gennaio 2016

L'intifada dei coltelli e la democrazia israeliana

L'intifada dei coltelli e la democrazia israeliana
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Akiva Eldar, in un articolo per al Monitor del 19 gennaio, ha ricordato l’anniversario della strage di  Kafr Qasim, quando, sessant’anni fa, l’esercito israeliano uccise sessanta palestinesi rei di aver violato il coprifuoco. Un anniversario che l’editorialista di Haaretz ricorda per accennare alla cosiddetta intifada dei coltelli, nella quale, a suo giudizio, sono stati uccisi troppi palestinesi solo perché «sospettati» di voler compiere un’azione offensiva.

 

Una critica che ricalca quella mossa di recente dal ministro degli Esteri svedese Margot Wallstrom, la quale aveva chiesto alle autorità israeliane un’indagine su tali uccisioni suscitandone l’accesa reazione. Vicenda che Eldar accenna per stigmatizzare la decisione del governo di derubricare la richiesta a semplice «stupido» attacco contro Israele, evitando di lasciarsi interpellare dalla domanda.

 

Nell’articolo, in cui Eldar critica pesantemente diversi esponenti politici di Tel Aviv, viene citato il film-documentario The Gatekeepers (I Guardiani), uscito nel 2012 tra le polemiche del mondo israeliano, nel quale diversi ex capi dello Shin Bet (il servizio segreto per gli affari interni), criticavano la politica condotta da Israele nei confronti dei palestinesi, auspicando la ripresa del dialogo.

 

L’editorialista di Haaretz riprende le parole di Yeshayau Leibowitz riportate nel film: «Uno Stato che comanda una popolazione ostile di un milione di stranieri diventerà inevitabilmente uno Stato dello Shin Bet, con tutto ciò che questo implica per l’istruzione, la libertà di parola e di pensiero e la democrazia. La corruzione presente in ogni regime coloniale affliggerà lo Stato di Israele. L’amministrazione dovrà soffocare le rivolte arabe da un lato e servirsi di collaborazionisti e traditori arabi dall’altro».

Nel filmato, come ricorda Eldar, l’ex capo dello Shin Bet Yuval Diskin commenta così le parole del filosofo israeliano: «Sono d’accordo su ogni parola».

 

E ancora, sempre riprendendo The Gateskeepers, l’articolo riporta anche la testimonianza di un altro dirigente dello Shin Bet, Avraham Shalom: «Il futuro è oscuro perché sta cambiando il carattere della popolazione. La maggior parte dei nostri giovani vengono arruolati nell’esercito e vedono cose contraddittorie: da una parte si impegnano per formare un esercito popolare e, dall’altra, fanno parte di un esercito di occupazione crudele, simile a quello dei tedeschi nella seconda guerra mondiale» [come è esplicitato nel film, Shalom non intende fare un parallelo con le atrocità compiute dai nazisti contro gli ebrei, ma con quelle compiute contro le popolazioni delle nazioni occupate ndr.].

 

Quei dirigenti dello Shin Bet, conclude Eldar, come tanti altri funzionari dello Stato, hanno trovato il coraggio della denuncia solo «dopo aver lasciato l’ufficio», avendo per anni «giustificato la loro collaborazione alla disastrosa occupazione [dei territori palestinesi ndr.] nella speranza di esercitare un’influenza dall’interno del sistema. Le uniformi che indossano, in una democrazia, li obbligano a obbedire agli ordini dei politici […], ma il fascismo e la caccia alle streghe rappresentano una democrazia offuscata da una bandiera nera. Chi collabora con esso, sia con l’azione che con il silenzio, sta adempiendo a un ordine palesemente illegale».

 

Nota a margine. Articolo durissimo quello di Eldar, che non mancherà di suscitare reazioni indignate in Israele. Anche perché questa nuova intifada dei coltelli, per l’indeterminatezza che la contraddistingue, ha suscitato tra gli israeliani un clima di terrore indiscriminato.

E però è significativo che l’allarme di Eldar sia stato pubblicato su un sito come al Monitor, non certo abitato da vis anti-israeliana.

 

Purtroppo la questione palestinese resta foriera di troppe sofferenze, da una parte e dall’altra. Ma senza un vero rilancio dei negoziati le carte del gioco resteranno saldamente nelle mani dei professionisti del terrore e della repressione. Una dinamica che costringe i due popoli  in un meccanismo di azione-reazione a reiterazione infinita, suscettibile in ogni momento di esiti incendiari.

Non si può che sperare che le persone di buona volontà, di una parte e dell’altra, riescano a innescare dinamiche virtuose in grado di spezzare tale meccanismo perverso.