12 Settembre 2025

Le bombe sul Qatar e sul piano di pace di Trump per Gaza

di Davide Malacaria
Le bombe sul Qatar e sul piano di pace di Trump per Gaza
Tempo di lettura: 4 minuti

Perché Netanyahu ha attaccato Hamas in Qatar e perché adesso? Questa la domanda che si pone Nimrod Novik su Haaretz spiegando che si trattava di evitare che Hamas accettasse il cessate il fuoco proposto da Trump, per dare un segnale contro l’iniziativa franco-saudita all’Onu e per dimostrare che non ha nulla a che vedere col Qatargate, scandalo che vede imputati alcuni suoi stretti collaboratori.

Molto interessante quanto scrive sul primo punto: “Non così celato nel piano del presidente americano Donald Trump per porre fine alla guerra di Gaza e liberare gli ostaggi c’è un ritiro completo di Israele dalla Striscia, compreso il ‘perimetro’ – una stretta striscia di territorio in cui andrebbe in vigore il divieto di accesso e che separerebbe Gaza dalle città israeliane adiacenti” [prospettiva prevista nei piani dell’IDF ndr.].

“Lo hanno chiarito il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich: se l’IDF si ritirassero da Gaza, abbandonerebbero la nave del governo facendo crollare la coalizione di Netanyahu. Di conseguenza, se Hamas accettasse il piano di Trump, ciò porterebbe al collasso della coalizione di governo”.

“La maggior parte degli osservatori vedeva scarse prospettive, se non nessuna, riguardo alla possibilità che Hamas accettasse la proposta di Trump, soprattutto perché avrebbe lasciato il gruppo terroristico senza difese e senza più nulla da scambiare una volta che tutti i 48 ostaggi, vivi e defunti, fossero stati rilasciati il ​​primo giorno [del cessate il fuoco], come previsto dalla proposta”.

“Ma le segnalazioni riguardo le pressioni arabe su Hamas affinché accettasse, unite alla possibilità che gli Stati Uniti – che danno priorità alla fine della guerra su tutto il resto – si mostrassero flessibili nell’accettare un rilascio graduale degli ostaggi, avrebbero potuto indurre Hamas a dire ‘sì’. Per Netanyahu, questo avrebbe significato guai: la crisi della coalizione” e l’accelerazione del processo che lo vede imputato.

Spiegazione alla quale Novik aggiunge come, nel libro “The Netanyahu Years”, il giornalista Ben Caspit ricorda che nel 1998 Netanyahu accettò la proposta americana detta Memorandum River, “nella quale si impegnava a trasferire un ulteriore 13% della Cisgiordania alla giurisdizione dell’Autorità Palestinese”. Accettò contando sul fatto che Arafat rifiutasse, “per poi rimanere deluso dal ‘sì'”. Un errore di valutazione che gli costò un decennio di esilio dalla politica (per inciso, il Memorandum restò lettera morta).

Il secondo motivo dell’attacco al Qatar, secondo Novik, lo si dedurrebbe dalla tempistica. Nel giorno delle bombe su Doha si apriva l’Assemblea generale dell’Onu, nella quale diversi e importanti Paesi si sono impegnati a unirsi alle 147 nazioni che già riconoscono lo Stato palestinese.

Un’iniziativa simbolica, secondo tanti, “anzi – scrive Novik – i cinici potrebbero considerarla un gesto ‘buonista’, un modo facile per evitare di impegnarsi nell’arduo compito di promuovere concretamente la soluzione dei due Stati”.

“Tuttavia – aggiunge Novik – l’iniziativa franco-saudita che promuove tale riconoscimento va ben oltre: propone un piano completo per il giorno dopo la fine della guerra a Gaza. Si impegna per favorire un governo libero da Hamas, chiede il disarmo di Hamas e offre a Israele la normalizzazione e l’integrazione regionale”.

“Purtroppo [per Netanuyahu], questa offerta storica e trasformativa è subordinata alla fine della guerra, alla rimozione del veto israeliano sul coinvolgimento dell’Autorità nazionale palestinese nella governance di Gaza e all’impegno israeliano a una risoluzione negoziata del conflitto con i palestinesi: tre condizioni che potrebbero mettere in crisi la coalizione di governo”.

Infine, il Qatargate, l’inchiesta della magistratura su delle asserite ingerenze indebite del Paese arabo in Israele che vede coinvolti alcuni collaboratori di Netanyahu. Le bombe su Doha, secondo Novik, sarebbero servite anche a dimostrare che il premier non ha nulla a che vedere con questa vicenda.

Al netto di tutto ciò, conclude Novik, quanto avvenuto potrebbe avere l’effetto di spostare la sede negoziale, e ovviamente il Paese garante delle trattative, dal Qatar all’Egitto. Ciò, secondo il cronista, potrebbe essere un bene: anzitutto perché l’Egitto combatte la Fratellanza islamica, a cui è legata Hamas, al contrario di Doha che la sostiene; ma soprattutto perché è più interessato a chiudere la guerra, dal momento che per il Cairo è questione di sicurezza nasionale (teme l’invasione dei disperati gazawi); infine, l’Egitto ha precedenti di successo in questo tipo di mediazioni, molto più del Qatar.

“Di conseguenza – conclude Novik – se l’Egitto tornasse al centro della scena, tutti coloro che pregano e sperano nel successo dei negoziati potrebbero avere una nuova occasione di speranza”.

Da vedere se il Qatar continuerà a mediare, magari in una posizione più defilata, dal momento che, dopo le bombe, da Doha giungono dichiarazioni contradditorie in merito. Da parte sua, Hamas ha dichiarato di non voler abbandonare il negoziato.

Quanto all’Egitto, il Middle east eye ha rivelato che il Cairo ha scoperto che Israele intende assassinare alcuni esponenti di Hamas ospiti del suo territorio. Se accadesse, ha ammonito, “equivarrebbe a una dichiarazione di guerra”. Netanyahu sta forse tirando troppo la corda. Previsto un vertice arabo-islamico di emergenza in Qatar per cercare risposta unitaria alle bombe. Sviluppi drammatici, mentre a Gaza City i palestinesi continuano a morire: alle bombe e alla fame si è aggiunta un’ulteriore variante orrorifica: gli ordigni incendiari.

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