1 Maggio 2020

Oil Wars: La minaccia fantasma

di Matteo Guenci
Oil Wars: La minaccia fantasma
Tempo di lettura: 2 minuti
  1. Frena la caduta del prezzo del petrolio (Ria Novosti). E ieri, per la prima volta da mesi, è risalito.

Ciò accade perché oggi entra in vigore il nuovo accordo Opec+ faticosamente raggiunto dopo la guerra petrolifera innescata dalla contrazione della domanda causata dalla  crisi economica globale e dalla querelle tra Arabia Saudita e Russia, che ha visto Riad inondare il mondo di oro nero.

Una decisione che ha ridotto in cenere la produzione petrolifera americana legata allo scisto e causato il crollo dei Futures Usa collegati al petrolio, e qui siamo nel campo della Finanza, perché pagati in barili e quindi tirati giù insieme al prodotto sui quali erano stati investiti (Sputniknews).

Una débâcle alla quale Trump ha tentato di porre un argine chiedendo a Putin di accordarsi con il principe saudita Mohamed bin Salman, come poi accaduto (con ringraziamento pubblico del presidente Usa al suo omologo russo).

Il prezzo del petrolio dunque sembra aver concluso la sua corsa al ribasso, che lo aveva portato a raggiungere addirittura valori negativi: un eventuale acquirente, cioè, poteva essere pagato pur di accollarsi un prodotto senza mercato e che non poteva essere conservato, dato l’esaurimento della capienza dei magazzini.

Finita la guerra, restano le macerie. Lo scisto americano è ormai asfaltato, con Trump che deve dire addio ai suoi sogni di gloria, coronati dal fuggevole, e ormai fuggito, primato americano della produzione petrolifera globale.

Per parte sua anche l’Arabia Saudita ha accumulato perdite immani, che affaticano il già disastrato bilancio statale, prosciugato per finanziare lo jihadismo globale e le varie guerre per procura americane.

Anche la Russia ne esce indebolita, dato che Putin ha fatto del petrolio non solo la principale risorsa nazionale, ma un vero e proprio pilastro della sua politica estera, come mette in evidenza il nuovo oleodotto verso la Cina, l’apertura del Turkish Stream in Turchia e la costruzione del North Stream 2 verso la Germania.

E però qualcosa ha pure guadagnato, dato che la Cina, la cui politica finora si è basata sulla diversificazione delle sue fonti energetiche, sembra aver ridotto l’importazione dall’Arabia Saudita accrescendo di converso, e di molto, quella russa, il 31% in più dello scorso anno (al Manar). Data la sete di petrolio del Dragone, è un cambiamento promettente per Mosca, soprattutto in questo momento critico.

Da tener d’occhio anche un altro particolare: in questi mesi di crisi Pechino, ormai uscita dal lockdown, ha raffinato più petrolio degli Stati Uniti (Oil price). Non era mai accaduto prima.

Certo, è un momento particolare (il coronavirus e quanto altro), ma il dato resta significativo di una tendenza che potrebbe aumentare. E, peraltro, anche questo è un indicatore, e forse non secondario, della situazione attuale della disfida economica tra le due superpotenze globali.

Ma al di là, per quanto riguarda la crisi economica che attanaglia il mondo, se certo il crollo del prezzo del petrolio può favorire la ripresa, la troppa volatilità dello stesso immette ulteriore instabilità nel sistema.

Così questa ripresa, timida e appena accennata, sempre che tenga, può essere salutata come una buona nuova. Secondaria quanto si vuole, ma nel buio anche una scintilla ha il suo perché.

Matteo Guenci

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