30 Ottobre 2018

L'odio di Pittsburgh e Trump

L'odio di Pittsburgh e Trump
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La strage di Pittsburgh, oltre a lutti e dolore, per i  quali il silenzio è esercizio doveroso, accende controversie politiche. Più infiammate di altre, anche perché le elezioni di Midterm sono alle porte.

Tanti gli avversari di Trump che lo additano come una sorta di untore, mandante morale dell’eccidio a causa della sua politica votata all’odio.

La controversia è più sensibile e accesa, ovviamente, nella comunità ebraica americana.

Ma quegli analisti che immaginavano che la strage portasse tale ambito a votare in massa per i democratici devono ricredersi.

Pittsburgh e gli ebrei americani

Così un titolo del New York Times: “La sparatoria alla sinagoga di Pittsburgh approfondisce la divisione nella comunità ebraica rispetto a Trump”.

Tanti sono infatti gli ebrei che non vedono nessi tra l’eccidio e la politica presidenziale. Si tratta di ebrei che hanno apprezzato le iniziative di Trump a favore di Israele, e non hanno cambiato idea.

Peraltro tale è stata la posizione anche del governo israeliano, che per questo ha ricevuto critiche dagli ambiti di sinistra della comunità ebraica americana.

Ma forse più che un’analisi dell’elettorato ebraico, per il quale rimandiamo al NYT, a rendere un’immagine icastica delle diversità di vedute di tale ambito è quanto  sta accadendo tra i fedeli della sinagoga Tree of Life, teatro della tragedia.

Il presidente americano non può mancare di visitare il luogo del massacro. Un viaggio, ad alto rischio di contestazioni, che sta ovviamente accendendo ancora di più le controversie.

Su tale visita i fedeli della sinagoga si dividono. Uno dei sopravvissuti allo scempio, Barry Werber, interpellato dall’Associated Press, ha detto che Trump “non è il benvenuto” e lo ha definito nazista.

Al contrario, un altro degli scampati, Judah Samet, peraltro sopravvissuto anche all’Olocausto, ha espresso gradimento per la visita, né crede che il Presidente sia un cripto-nazista (Times of Israel).

Ad accogliere il presidente sarà il rabbino della Tree of life, che ha spiegato in un’intervista a un media israeliano che la sua comunità lo accoglierà “perché è il nostro presidente”. Quanto accaduto, ha aggiunto, “non ha nulla a che fare con la politica americana. Questo è odio” (Times of Israel).

Insomma, anche una parte delle vittime dell’attacco rifiutano la connessione Trump-odio sociale-strage propria dei suoi avversari politici.

Pittsburgh e Israele

Per quanto riguarda Israele, si è detto delle reazioni che suscita la prossimità del governo di Tel Aviv in alcuni ambiti ebraici Usa. Va però segnalato, in aggiunta, un cenno di Debka alquanto interessante.

Il sito israeliano ha notato che Netanyahu non è volato negli Usa per esprimere la vicinanza dello Stato israeliano alle vittime del massacro, preferendo inviare il ministro dell’Istruzione Naftali Bennet.

Scelta singolare, anche se si considera il recente passato, quando il premier israeliano, dopo l’attacco al supermercato Kosher, si precipitò a Parigi.

Forse Netanyahu, come spiega Debka, era stanco per i troppi impegni elettorali (in Israele si stanno tenendo elezioni amministrative) o forse, ipotesi da non scartare, temeva di essere bersaglio di contestazioni.

Ma al di là delle ragioni di Netanyahu, va segnalato che se la visita di Bennet era più che doverosa, come doverose erano le sue parole di cordoglio rivolte alla comunità colpita, meno doveroso appare il suo paragone tra l’odio dell’assassino di Pittsburgh e quello dei palestinesi verso Israele.

Accostamento che non appartiene alla storia né alla cronaca (nera), e che stride con quanto avvenuto in questi giorni: tre bambini palestinesi sono rimasti vittime della reazione dell’esercito israeliano alle proteste di Gaza. Colpiti da un drone, sono stati fatti letteralmente a pezzi.

Non si tratta di sminuire in nulla l’orrore di Pittsburg, ma di evidenziare che certe semplificazioni non aiutano ad attutire l’odio che attraversa il mondo.

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